LETTERA DEL BARONE DI PETODICAPRA
AL SUO SEGRETARIO AL CASTELLO DI SANTA MIAGLORIA
Jules Mouquet trovò questa lettera nel «Nord-Est», giornale repubblicano di Charleville. Essa compare nel numero del 16 settembre 1871, con la firma «Jean Marcel». Basandosi
sul fatto che Rimbaud si interessava al «Nord-Est» e che nel corso dell'inverno precedente aveva assunto lo pseudonimo di Jean Baudry nella sua corrispondenza con «Le Progrès des Ardennes»,
Mouquet concluse che questa lettera fosse di Rimbaud. In realtà il poeta era ancora a Charleville quando la lettera fu scritta, ed è assai improbabile che fosse al corrente sui minimi fatti della
cronaca politica di Versailles e di Parigi.
Versailles, 9 settembre 1871.
La Francia è salva, mio caro Anatolio, e lei ha proprio cagione di dire
che io in gran parte vi ho contribuito. Il mio discorso — dovrei dire il nostro discorso - non ha po-luto essere inserito nella famosa disamina, ma ne ho pronunciato in corridoio, tra gli amici,
la trascinante perora-/ione. Essi indugiavano... Hanno votato. Veni, vidi, vici! Stavolta ho capito l'influenza che potrei esercitare domani su certi gruppi parlamentari.
Del resto, lo avevo presentito, in occasione dell'ultima licenza, allorché la mia bionda e intelligente Sidonia, mentre assisteva alla nostra ripetizione, esclamò: «Papa! mi dai un
non so che quando ti prendi sul serio! »
Mi dai un non so che!... O adorabile dichiarazione! In quel giovane cuore ho portato la commozione dell'eloquenza, commozione anticipatrice della persuasione. (Riporti la mia frase
al curato, e faccia il filone).
Dunque la Francia è salva, la nobiltà è salva, la religione è salva, siamo contenti!
Quando faremo la costituzione? Quando ci andrà a genio, signori. - E il signor Thiers? Lei mi dirà. - II signor l'Iiiers! puah! cosa sarebbe senza di noi? Tant'è che ha abbracciato
la nostra proposta, dando da baciare ai repubblicani la punta delle sue dita, e afferrandoci il collo per soffiarci all'orecchio: «Pazienza! Voi sarete re!» E la sinistra? - La sinistra!... Che
roba è la sinistra? Andiamo su, Anatolio, se questa roba non si credesse costituente, se ne starebbe forse con i costituenti? Ci facciamo delle lalse idee su quella gente.
Alla fin fine sono molto più arrendevoli di quanto pen-NÌamo. Gli anziani si convertono e si battono il petto al tribunale e alla Corte d'Assise; hanno la mania delle con-Icssioni
pubbliche che screditano il penitente e possono logliere la stima al partito. I giovani sono ambiziosi e sono pronti a ogni evento. C'è sempre qualche schiamazzatore che solleva ridicole buriane
intorno alle tribune, ma siamo noi che teniamo in pugno il tuono, e gli schiamazzatori che vorranno tirare troppo la corda schiatteranno di tirsi laringea.
Dobbiamo riposarci adesso; ce lo siamo ben meritato, questo riposo che
vogliono lesinarci con tanta tirchieria. Noi abbiamo riorganizzato un esercito, bombardato Parigi, soffocata l'insurrezione, fucilato gl'insorti, processato i loro capi, sancito il potere
costituente, canzonato la Repubblica, predisposto un ministero monarchico e varata qualche legge che modificheranno presto o tardi. -Non è per far leggi che noi siamo venuti a Versailles ! Si è
uomini, Anatolio, prima di essere legislatori. Non abbiamo fatto il nostro fieno, vogliamo almeno fare la nostra vendemmia.
Beato lei! Le dame la reclamano, lei è partito senza trombe né tamburi,
lasciandomi due discorsi da imparare e interruzioni da ripetere. Ha aperto la caccia, ha pescato, mi ha mandato delle quaglie e delle trote; le abbiamo mangiate; va bene. Ma dopo!...
Ah! ho piantato lì discorsi e interruzioni, per chiedere una licenza.
«È la centotrentasettesima che questa settimana registro», mi ha detto il presidente.
Ero seccato. Questo signor Target mi ha persuaso ad aspettare. Ah! che uomo carino, e come capisce gl'ideali i lell' Assemblea !
...Anatolio, le spedisco la sua fotografia per l'album di Sidonia. Lo faccia mettere bene al suo posto, fra il generale de Temple e il signor di Bel-Castel, che mi onorano della loro
amicizia.
Partiremo verso la fine del mese: ottobre ci da ancora delle belle giornate: capisce, quel bel sole che perfora la nebbia e disperde... disperde... Mi spiego! Non sono poeta io; sono
oratore!
Alla Camera abbiamo pazientato fino a oggi, grazie ai consigli di guerra e alla proposta Ravinel.
Oh! i consigli di guerra!... Toh, siamo al settimo ciclo, caro mio. Il parere delle persone oneste ha profondamente scosso quei bravi giudici militari, un attimino sviati sui
sentieri tortuosi della clemenza e della pietà. Riec-coli sulla buona strada, sulla retta via, stavolta giusti, ma soprattutto severi! Ha visto come hanno condannato Pipe-en-Bois?... Ci prendiamo
la rivincita, cittadini della Comune!
E poi non glielo nascondo, Anatolio, ci voleva un esempio. Non sia mai detto che avremmo potuto stare impunemente dalla parte di Gambetta!
Gambetta!... Toh, penso talvolta che Sidonia n'è andata matta per tre settimane e la cosa disturba le mie notti... Le dica che la perdono. Al mio rientro, ella vedrà come mostro i
pugni sotto la tribuna, quando ci riuniamo fra amici, per maledire quel dittatore.
Ah! egli non ha osato spiaccicar parola sulla faccenda Ravinel. Detto fra noi, Anatolio, credo di fargli paura. Giorni addietro, nel parco, domandò senza indicarmi, ben inteso: «Ma
chi è codesto Brasiliano? » Sidonia ritiene che io mi tinga un po' troppo; ma se ciò mi da un'aria feroce!...
Fa niente, ho avuto un bel mostrare alla sinistra il pugno, non siamo riusciti a mandare all'aria l'affare Ravinel. Si resta a Versailles, indefinitivamente, ma qui non ci vengono i
servizi pubblici a piantare le tende.
E poi?... Che importa? Amo il provvisorio, io. Versailles è un sobborgo di Parigi e tuttavia non è più Parigi. E tutto qui. Essere o non essere a Parigi.
Se ci avessero proposto Nantes o Lione, o Bordeaux, avremmo decisamente
rifiutato. Per cominciare sono città rivoluzionarie, la loro guardia nazionale non è ancora stata disciolta e i loro consiglieri municipali sono oltraggiosamente repubblicani. Ah! povero amico
mio, non si è più sicuri da nessuna parte in provincia. Forse, nel frat-lempo, solo a Santa Miagloria!... Questa sì, è un'idea; al mio ritorno lei mi presenterà un progetto d'emendamento.
Ma per principio, vede, non mi parli di risiedere a cinquanta o duecento leghe da Parigi. A Bordeaux si stava bene dopo la guerra. Eravamo vicini a Libourne e ad Arcachon. Avevamo
bisogno d'aria pura dopo tante emozioni e quest'aria pura Parigi non ce la poteva dare. Qualche migliaio d'imbecilli si era fatto ammazzare scioccamente in periferia malgrado il generale Trochu;
in città erano morte in otto giorni cinquemilasettecento persone, poveracci, vittime di una stupida ostinazione... Oggi, è diverso ed eccomi mezzo Parigino. Che il presidente dica o non dica:
«Signori, la seduta è toltaci» io prenderò comunque il treno delle cinque e mezzo. È incantevole, lungo la rive gauche. E poi, in ferrovia, che incontri! Anche lei ama l'imprevisto,
Anatolio!
Alle sette, ceno al caffè d'Orsay, oppure da Ledoyen. Alle otto, non sarò più un deputato, non sarò più barone, se mi va, e non sarò più Petodicapra, sarò un nobile straniero
sperdutosi in Parigi.
Anatolio, questa lettera è una lettera politica, da non aprire alla
baronessa e a Sidonia! Ma se per caso lei sarà deputato, si rammenti che la felicità e la verità stanno nei mezzi termini. Di giorno a Versailles, di notte a Parigi: è l'unica risoluzione
soddisfacente della gran questione Ravinel.
Gioan Goffredo Adalberto Carolus Adamasto
barone di PETODICAPRA
Per copia più o meno conforme:
JEAN MARCEL.
PS. - Ebbene! Ebbene! ne vengo a saper di belle dall'ultimo corriere! Chi ha dunque messo sottosopra Santa Miagloria! Su 287 elettori, 233 ne hanno richiesto la scomparsa!... Anatolio, chiederò
una licenza!... Ma perlomeno laggiù ti puoi avventurare?
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LETTRE DU BARON DE PETDECHÈVRE
A SON SECRETAIRE AU CHATEAU DE SAINT-MAGLOIRE
Versailles, 9 septembre 1871.
La France est sauvée, mon cher Anatole, et vous avez bien raison de dire que j'y ai grandement contribué. Mon discours - je devrais dire notre discours - n'a pu trouver piace dans la
fameuse discussion, mais j'en ai prononcé dans le couloir, au milieu de nos amis, l'entraìnante péroraison. Ils hésitaient... Ils ont vote. Veni, vidi, vici! J'ai compris cette fois l'influence
que je puis exercer un jour sur certains groupes parlementaires.
Du reste, j'en avais eu le pressentiment, a mon dernier congé, lorsque ma blonde et intelligente Sidonie, assi-stant a notre répétition, s'écria: «Papa! tu me fais je ne sais quoi
quand tu te prends au sérieux!»
Tu me fais je ne sais quoi!... O adorable aveu! Je portais dans ce juene cceur le trouble de l'éloquence, et ce trouble est le précurseur de la persuasion. (Répétez ma phrase au
cure, en faisant le mistigri).
Donc la France est sauvée, la noblesse est sauvée, la religion est sauvée, nous sommes constituantsl!
Quand constituerons-nous? Quand il nous plaira, I messieurs.
- Et monsieur Thiers? me direz-vous. - Mon sieur Thiers! peuh! que serait-il sans nous? Aussi s'est-il rallié a notre proposition, donnant le bout de ses doigls a baiser aux républicains, et nous
prenant le cou pour nous dire a l'oreille: «Patience! vous serez rois!» — Et la gauche? — La gauche!... qu'est-ce-que c'est que ça, la gauche? Voyons, Anatole, siça ne se croyait pas constituant, est-ce-que ça resterait avec les constituants? On se fait de fausses idées de ces gens-là.
Ils sont en somme beaucoup plus accommodants qu'on ne pense. Les vieux se convertissent et se frappent
la poitrine a la tribune et a la Cour d'assises; ils ont la manie des confessions publiques qui discréditent le pénitenl et peuvent déconsidérer le parti. Les jeunes ont de l'ambition et se
tiennent préts a tout événement. Il y a bien quelques braillards qui soulèvent de ridicules tempétes autour de la tribune, mais c'est nous qui brandissons les tonnerres, et les braillards qui
voudront lutter jusqu'au bout mourront de phtisie laryngée.
Il faut que nous nous reposions maintenant; nous l'avons bien gagné, ce repos qu'on veut nous mesurer parcimonieusement. Nous avons réorganisé une armée, bombarde Paris, écrasé
l'insurrection, fusillé les insurgés, jugé leurs chefs, établi le pouvoir constituant, berne la Ré-publique, préparé un ministère monarchista et fait quelques lois qu'on refera tòt ou tard. — Ce
n'était pas pour faire des lois que nous étions venus a Versailles! On est homme, Anatole, avant d'étre législateur. On n'a pas fait ses foins, on veut faire au moins ses vendanges.
Vous étes heureux, vous! Ces dames vous réclamaient, vous étes parti sans
tambour ni trompette, me laissant deux discours a apprendre et des interruptions a répéter. Vous avez ouvert la chasse, vous avez péché; vous m'avez envoyé des cailles et des truites; nous les
avons mangées; c'est bien. Après!...
Ah! comme j'ai piante là les discours et les interruptions, pour demander un congé.
«C'est le cent trente-septième que j'inscris cette semaine», m'a dit le président.
J'étais vexé. Ce M. Target m'a decide a attendre. Ah! le charmant homme, et comme il comprend les aspirations de l'Assemblèe!
... Anatole, je vous envoie sa photographie, pour l'album de Sidonie. Faites-le mettre en benne piace, entre le generai du Temple et M. de Bel-Castel, qui m'honorent de leurs
confidences.
Nous partirons vers la fin du mois; il y a encore de beaux jours en octobre: vous savez, ces beaux soleils qui percent la brume et dissipent... dissipent... Vous me comprenez! Je ne
suis pas poète, moi; je suis orateur!
On a pris patience, a la Chambre, jusqu'à cette heure, gràce aux conseils de guerre et a la proposition Ravinel. Oh! conseils de guerre!... Tenez, nous sommes aux an-ges, mon cher.
L'opinion des honnétes gens a profondò ment emù ces braves juges militaires, un moment four-voyés dans les sentiers tortueux de la clémence et de la pitie. Les voilà dans le bon chemin, dans le
droit chemin, justes cette fois, mais surtout sévères. Avez-vous vu comme ils ont condamné Pipe-en-Bois?... Nous avons notre revanche, citoyens de la Commune!
Et puis, je ne vous le cache pas, Anatole, il fallait un exemple. Il ne sera pas dit qu'on aura pu étre impune ment avec Gambetta!
Gambetta!... Tenez, je pense quelquefois que Sidonie en a raffolé trois semaines et cela trouble mes nuits... Dites-lui que je lui pardonne. Elle verrà a la rentrée comine je mentre
le poing, sous la tribune, quand nous nous réunissons entre amis, pour maudire le dictateur.
Ah! il n'a pas osé piacer son mot dans la question Ravinel. Entre nous, Anatole, je crois que je lui fais peur. Il demandait, l'autre jour, dans le pare, sans me montrer e du doigt,
bien entendu: «Quel est donc ce Brésilien? » Sido nie prétend que je me teins un peu trop; mais puisque ca me donne l'air farouche!...
N'importe, j'ai eu beau montrer le poing a la gauche, nous n'avons pas pu enlever cette affaire Ravinel. Nous restons a Versailles, indéfiniment, mais les services pu-blics ne
viennent pas s'y établir.
Après?... Qu'est-ce que ga me fait? J'aime ce provisoi re, moi. Versailles est un faubourg de Paris et pourtant ce n'est plus Paris. Tout est là. Étre et ne pas ètre a
Paris.
Si l'on nous eŭt propose Nantes ou Lyon, ou Bor deaux, nous aurions
nettement refusé. Ce sont des villes révolutionnaires d'abord; la garde nationale n'y est pas encore dissoute et les conseillers municipaux y sont ou trageusement républicains. Ah! mon pauvre
ami, ou n'est plus en sùreté nulle part en province. Peut-etre cependant qu'à Saint-Magloire!... Ça, c'est une idèe; vous me présenterez un projet d'amendement a la rentrée.
Mais en principe, voyez-vous, ne me parlez pas de siéger a cinquante ou deux cents lieues de Paris. A Bordeaux, c'était bon après la guerre. On était près de I ,i bourne et
d'Arcachon. Nous avions besoin d'air pur après tant d'émotions et Paris ne pouvait nous donner cet air pur. Quelques milliers d'imbéciles s'étaient fait tuer bètement dans la banlieue malgré le
generai Trochu; dans la ville il était mort cinq mille sept cents personnes en huit jours, pauvres victimes d'une stupide obstination... Maintenant, c'est autre chose et me voilà mi-partie
Parisien. Que le président ait ou n'ait pas dit: «Messieurs, la séance est levée!» je prends le train de cinq heures et demie. C'est charmant, pas la rive gauche. Et puis, quelles rencontres en
chemin de fer! Vous aimiez l'imprévu, vous aussi, Anatole!
A sept heures, je dine au Café d'Orsay, ou chez Ledoyen. A huit heures, je ne suis plus député, je ne suis plus baron, si je veux, je ne suis plus Petdechèvre, je suis un noble
étranger perdu dans Paris.
Anatole, cette lettre est une lettre politique, lettre dose a la baronne et a Sidonie! Mais si jamais vous étes député, rappelez-vous que le bonheur et la vérité sont dans les moyens termes. Le
jour a Versailles, la nuit a Paris: c'est la seule solution satisfaisante de la grande question Ravinel.
Jehan-Godefroid-Adalbert-Carolus-Adamastor baron de PETDECHÈVRE
Pour copie plus ou moins conforme.
JEAN MARCEL.
PS. - Eh bien! eh bien! j'en apprends de belles par le dernier courrier! Qui donc a
révolutionné Saint-Magloi-re! Sur 287 électeurs, 233 ont pétitionné pour la dissolu-tion!... Anatole, je vais demander, un congé!... Mais du moins, peut-on se risquer là-bas?
VELENO PERDUTO
(POISON PERDU)
Il testo più antico di Veleno perduto, fra quelli pubblicati, compare, anonimo, in una cronaca del «Gaulois» firmata Gardéniac. Questo Gardéniac è perfettamente ignoto, potrebbe essere uno pseudonimo di Germain Nouveau, data la somiglianza di stile; ma Nouveau (interrogato a tal proposito da Delahaye) disse che i versi erano sicuramente di Rimbaud. Il problema dell'autenticità della poesia resta irrisolto. György Gera ha pubblicato nel «Figaro Littèraire» una lettera di Verlaine che conteneva il testo del sonetto e lo attribuiva a Rimbaud.
Delle notti con la bionda e la bruna
nella camera non è rimasto,
né una trina d'estate
né una cravatta comune.
Nulla sul balcone dove il tè
si prende nelle ore della luna.
Non è rimasta traccia alcuna,
nessun ricordo è rimasto.
Sul bordo d'una tenda a puntini blu
riluce una spilla dal capo d'oro
come un grande insetto che dorme.
Punta imbevuta d'un fine veleno
ti prendo. Sii pronta per me
nelle ore in cui desidero la morte.
______o______
Des nuits du blond et de la brune
Rien dans la chambre n'est resté,
Pas une denteile d'été
Pas une eravate commune.
Rien sur le balcon où le thè
Se prend aux heures de la lune.
Il n'est reste de trace aucune,
Aucun souvenir' n'est reste.
Au bord d'un rideau bleu piquée
Luit une épigle a téte d'or
Gomme un gros insecte qui dort.
Pointe d'un fin poison trempée
Je te prends. Sois moi préparée
Aux heures des désirs de mort.