Sire, il tempo ha lasciato il suo manto di pioggia; i forieri dell'estate sono venuti: sbattiamo l'uscio in faccia alla Malinconia! Viva i lai e le ballate! Le moralità e le burle. Che i curiali del tribunale ci montino le farse dissennate; andiamo ad ascoltare l'insegnamento del Benaccolto e Malaccorto, e la conversione del chierico Teofilo, e come andarono a Roma San Pietro e San Paolo, e come vennero martirizzati! Viva le dame dai goletti rimboccati, che portano ricami e gioie! Non è vero, Sire, che bello è dire sotto gli alberi, quando i cieli si vestono d'azzurro, quando il sole riluce chiaro, i dolci rondò, le ballate cantate apertamente? Ho una rama della pianta d'amore, o Una volta ditemi di sì, signora Ha sempre la meglio l'amante ricco … Ma eccomi sbalordito, Sire, e lo sarete voi quanto me: Maestro François Villon, il buon faceto, il motteggiator cortese che rimò tutto questo, legato, nutrito a pane e acqua, piange ora e geme in fondo al Chatelet! Sarete appeso! gli hanno detto al cospetto del notaro: e il povero burlone tramortito ha scritto il suo epitaffio per sé e i suoi compagni: e i bei galanti di cui tanto amate voi le rime, si lusingano di danzare a Montfaulcon, becchime d'uccelli più che ditali, nella pioviggine e il sole!
Oh! Sire, non per insensato piacere che Villon si trova là! Misere scope soffrono abbastanza! Chierici in attesa della nomina all'Università, perdigiorno, espositori di scimmie, suonatori di ribeca che il loro conto pagano in canzoni, cavalieri di séguito, poveri diavoli, mercenari che nascondono il loro naso in pignatte di stagno meglio che in elmi di guerra: poveri figlioli secchi e neri come spazzaforni, che non vedono pane se non dalla finestra, che l'inverno imbacucca di geloni, anno scelto maestro Francois per madre nutrice! Ora necessità fa la gente errare, e fame saltar fuori del bosco il lupo: forse lo Studente, un giorno di carestia, rubò dalla tinozza del macellai delle budella, per friggerle al Rinfresco Popin o alla taverna del Pestel? Forse al fornaio ha fregato una dozzina di pagnotte, o scambiato alla Pigna una brocca d'acqua pura con una caraffa di vino di Baigneux? Forse una sera di gran bisboccia al Plat-d'Étain, ha randellato la guardia al suo arrivo; oppure li abbiamo sorpresi, attorno a Montfaulcon, a una cena guadagnata in una lite, con una decina di donnacce? Questi i misfatti di maestro François! Perché ci mostra un grasso canonico che fa moine alla sua dama in una camera ben drappeggiata, perché dice che il cappellano si cura di confessare solo fantesche e dame, e consiglia alle devote, per burla bell'e buona, di far contemplazione sotto le cortine, lo studente matto, sebbene ridendo, vago come uno smeriglio, trema sotto gli artigli del gran giurì, questi terribili uccelli neri seguiti da corvi e gazze! Lui e i suoi compagni, poveri meschini! appenderanno un nuovo rosario d'impiccati ai bracci della foresta: il vento gli farà canzoni in mezzo al dolce fogliame sonoro: e voi, Sire, e tutti coloro che amano il poeta, potranno ridere solo piangendo alla lettura delle sue ballate liete: penseranno di aver lasciato morire il nobile letterato che cantava così perdutamente, e non potranno scacciare Melanconia!
Mariuolo, ladro, maestro François è pure il miglio figlio del mondo: se ne ride delle grasse zuppe domenicane: ma egli onora ciò che ha onorato la chiesa di Dio, e la signora vergine e la santissima trinità! Onora la Corte del Parlamento, madre dei buoni, e sorella dei benedetti angeli; ai maldicenti del reame di Francia, ne vuole quasi quanto agli osti che mescolano il vino. Et dea! Egli sa bene di aver troppo sgallettato ai tempi della sua folle gioventù! L'inverno, le sere di miseria, accanto alla fontana Maubuay o in qualche sacrario rovinato, seduto a coccoloni davanti a un focherello di canapa, che avvampa di tanto in tanto per arrossare il suo magro volto, egli medita che se avesse studiato avrebbe avuto casa e modico giaciglio!... Sovente, languido e nero come un cavalcatore di scopette, dalle fessure guarda negli ostelli: - «O, quei bocconi squisiti e ghiotti! Quelle torte, quei flan, quelle grasse pollastre dorate! - Sono affamato più di Tantalo! - Arrosto! arrosto! - Oh! afrore dolce più dell'ambra e di zibetti! - Del vino di Beaulne in grandi boccali d'argento! - Dagli!, la gola m'arde!... O, avessi mai studiato!... - E le mie branche che tirano la lingua, e la mia zimarra ce apre tutte le sue finestre, e il cappellaccio mio a denti di sega! - Se incontrassi un pietoso Alessandro, perché io posso, ben accolto, ben dichiarato, a mio agio cantare come Orfeo il dolce menestrello! Se vivere potessi con onore una volta prima di morire!...» Ma, ecco: cena di rondò, d'effetti di luna sui vecchi tetti, d'effetti di lanterne sopra il suolo, è magro assai, magrissimo; poi passano, in gonne strette, le battano paesane, che fanno vezzose cosettine per attirare a sé i passanti; poi il rimpianto delle taverne scintillanti, piene del grido dei bevitori che urtano i boccali di stagno e spesso gli spadoni, del ghignar delle puttane, e del canto aspro delle ribeche mendicanti; il rimpianto dei vecchi neri vicoli ove sporgono insensatamente, per abbracciarsi, piani di case e travi enormi; ove, nella notte fitta, passano, con suoni di spadacce strascicate, risa e schiamazzi abominevoli… E torna l'uccello al vecchio nido: Tutto per taverne e per ragazze!...
Oh! Sire, non poter mettere pennacchi al vento in questo tempo della gioia! La corda è veramente triste in maggio, quando tutto canta, quando tutto ride, quando sfavilla il sole sui muri più leprosi! Impiccati saranno, per un pasto da nulla! Villon è nelle mani della Corte del Parlamento: il corvo non ascolterà l'uccellino! Sire, sarebbe in verità un misfatto appendere quei gentili letterati: quei poeti, vedete, non sono di quaggiù: lasciateli vivere la loro strana vita; lasciateli aver freddo e fame, lasciateli vagare, cantare e amare: essi sono tanto ricchi quanto Giacomo Cuore, tutti questi fanciulli matti, poiché hanno l'anima piena di rime, di rime che ridono e che piangono, che ci fanno ridere o piangere: Lasciate che vivano: Dio benedice tutti i pietosi, e il mondo benedice i poeti.
A. Rimbaud
(primavera del 1870)
* * *
Sire, le temps a laissé son manteau de pluie ; les fouriers d'été sont venus : donnons l'huys au visage à Mérencolie ! Vivent les lays et ballades ! moralités et joyeulsetés ! Que les clercs de la basoche nous montent les folles soties : allons ouyr la moralité du Bien-Advisé et Maladvisé, et la conversion du clerc Théophilus, et come alèrent à Rome Saint Pière et Saint Pol, et comment furent martirez ! Vivent les dames à rebrassés collets, portant atours et broderyes ! N'est-ce pas, Sire, qu'il fait bon dire sous les arbres, quand les cieux sont vêtus de bleu, quand le soleil cler luit, les doux rondeaux, les ballades haut et cler chantées ? J'ai un arbre de la plante d'amours, ou Une fois me dites ouy, ma dame, ou Riche amoureux a toujours l'advantage... Mais me voilà bien esbaudi, Sire, et vous allez l'être comme moi : Maistre François Villon, le bon folastre, le gentil raillart qui rima tout cela, engrillonné, nourri d'une miche et d'eau, pleure et se lamente maintenant au fond du Châtelet ! Pendu serez ! lui a-t-on dit devant notaire : et le pauvre folet tout transi a fait son épitaphe pour lui et ses compagnons : et les gratieux gallans dont vous aimez tant les rimes, s'attendent danser à Montfaulcon, plus becquetés d'oiseaux que dés à coudre, dans la bruine et le soleil!
Oh! Sire, ce n'est pas pour folle plaisance qu'est là Villon ! Pauvres housseurs ont assez de peine ! Clergeons attendant leur nomination de l'Université, musards, montreurs de synges, joueurs de rebec qui payent leur escot en chansons, chevaucheurs d'escuryes, sires de deux écus, reîtres cachant leur nez en pots d'étain mieux qu'en casques de guerre ; tous ces pauvres enfants secs et noirs comme escouvillons, qui ne voient de pain qu'aux fenêtres, que l'hiver emmitoufle d'onglée, ont choisi maistre François pour mère nourricière ! Or nécessité fait gens méprendre, et faim saillir le loup du bois : peut-être l'Escollier, ung jour de famine, a-t-il pris des tripes au baquet des bouchers, pour les fricasser à l'Abreuvoir Popin ou à la taverne du Pestel ? Peut-être a-t-il pipé une douzaine de pains au boulanger, ou changé à la Pomme du Pin un broc d'eau claire pour un broc de vin de Baigneux ? Peut-être, un soir de grande galle au Plat-d'Etain, a-t-il rossé le guet à son arrivée ; ou les a-t-on surpris, autour de Montfaulcon, dans un souper conquis par noise, avec une dixaine de ribaudes ? Ce sont les méfaits de maistre François ! Parce qu'il nous montre ung gras chanoine mignonnant avec sa dame en chambre bien nattée, parce qu'il dit que le chappelain n'a cure de confesser, sinon chambrières et dames, et qu'il conseille aux dévotes, par bonne mocque, parler contemplation sous les courtines, l'escollier fol, si bien riant, si bien chantant, gent comme esmerillon, tremble sous les griffes des grands juges, ces terribles oiseaux noirs que suivent corbeaux et pies ! Lui et ses compagnons, pauvres piteux ! accrocheront un nouveau chapelet de pendus aux bras de la forêt : le vent leur fera chandeaux dans le doux feuillage sonore : et vous, Sire, et tous ceux qui aiment le poète ne pourront rire qu'en pleurs en lisant ses joyeuses ballades : ils songeront qu'ils ont laissé mourir le gentil clerc qui chantait si follement, et ne pourront chasser Mérencolie !
Pipeur, larron, maistre François est pourtant le meilleur fils du monde : il rit des grasses souppes jacobines : mais il honore ce qu'a honoré l'église de Dieu, et madame la vierge, et la très sainte trinité ! Il honore la Cour de Parlement, mère des bons, et soeur des benoitz anges ; aux médisants du royaume de France, il veut presque autant de mal qu'aux taverniers qui brouillent le vin. Et dea ! II sait bien qu'il a trop gallé au temps de sa jeunesse folle ! L'hiver, les soirs de famine, auprès de la fontaine Maubuay ou dans quelque piscine ruinée, assis à croppetons devant petit feu de chenevottes, qui flambe par instants pour rougir sa face maigre, il songe qu'il aurait maison et couche molle, s'il eût estudié !... Souvent, noir et flou comme chevaucheur d'escovettes, il regarde dans les logis par des mortaises : "- O, ces morceaulx savoureux et frians ! ces tartes, ces flans, ces gelines dorées ! - je suis plus affamé que Tantalus ! - Du rosit ! du rost ! - Oh ! cela sent plus doux qu'ambre et civettes ! - Du vin de Beaulne clans de grandes aiguières d'argent ! - Haro ! la gorge m'ard !... O, si j'eusse estudié !... - Et mes chausses qui tirent la langue, et ma hucque qui ouvre toutes ses fenêtres, et mon feautre en dents de scie ! - Si je rencontrais un piteux Alexander, pour que je puisse, bien recueilli, bien débouté, chanter à mon aise comme Orpheus le doux ménétrier ! Si je pouvais vivre en honneur une fois avant que de mourir !..." Mais, voilà : souper de rondeaux d'effets de lune sur les vieux toits, d'effets de lanternes sur le sol, c'est très maigre, très maigre ; puis passent, en justes cottes, les mignottes villotières qui font chosettes mignardes pour attirer les passants ; puis le regret des tavernes flamboyantes, pleines du cri des buveurs heurtant les pots d'étain et souvent les flamberges, du ricanement des ribaudes, et du chant aspre des rebecs mendiants ; le regret des vieilles ruelles noires où saillent follement, pour s'embrasser, des étages de maisons et des poutres énormes ; où, dans la nuit épaisse, passent, avec des sons de rapières traînées, des rires et des braieries abominables... Et l'oiseau rentre au vieux nid : Tout aux tavernes et aux filles !...
Oh ! Sire, ne pouvoir mettre plumail au vent par ce temps de joie ! La corde est bien triste en mai, quand tout chante, quand tout rit, quand le soleil rayonne sur les murs les plus lépreux ! Pendus seront, pour une franche repeue ! Villon est aux mains de la Cour de Parlement : le corbel n'écoutera pas le petit oiseau ! Sire, ce serait vraiment méfait de pendre ces gentils clercs : ces poètes-là, voyez-vous, ne sont pas d'ici-bas : laissez-les vivre leur vie étrange ; laissez-les avoir froid et faim, laissez-les courir, aimer et chanter : ils sont aussi riches que Jacques Cœur, tous ces fols enfants, car ils ont des rimes plein l'âme, des rimes qui rient et qui pleurent, qui nous font rire ou pleurer : Laissez-les vivre : Dieu bénit tous les miséricords, et le monde bénit les poètes.