Frédéric Musso

Frédéric Musso, giornalista, saggista e scrittore
Frédéric Musso, giornalista, saggista e scrittore

«Per essere lustrascarpe, per ottenere un posto di lustrascarpe, occorre fare un esame; che i posti che vi sono offerti sono quelli di lustrascarpe, di porcaro o di bovaro. Grazie a Dio, io non ne voglio mica di questi posti, perbacco! E per soprammercato, vi appioppano ceffoni come ricompensa; vi chiamano animale, cosa del tutto falsa, omiciattolo, ecc. Ah! perdincibacco! Il resto prossimamente. Arthur». Queste righe, scritte da un ragazzo di dieci anni, non rivelano tanto una particolare disposizione alla poesia quanto un talento precoce per l'imprecazione e per quelle "virtù" potenziali che sono la lazzaronaggine e la rivolta. Il seguito non doveva tardare: fra i sedici e i diciannove anni, Arthur Rimbaud crea l'opera più originale della fine dell'Ottocento. Sdegnosa e folgorante, quest'opera esplode come una rivoluzione, nel senso che obbliga i successori del poeta a non scrivere più come si scriveva prima di lui. Il passant considérable (come l'aveva chiamato Mallarmé) diventa, secondo lo scrittore Jean Cocteau, «più ingombrante di Victor Hugo». Fantasioso e sensibile, già a dieci anni Rimbaud scrive componimenti poetici in latino, che gli valgono l'ammirazione dei professori e un primo premio al Concours Académique del 1869 per la poesia in latino Jugurtha. Rimbaud svolge l'argomento in modo molto originale, facendo predire al vecchio re numida la sconfitta di Abd-el-Kader, l'emiro algerino che si battè a lungo contro i francesi dal 1832 al 1844 e che venne poi imprigionato fino a che Napoleone III non lo liberò nel 1852.
Un altro testo che risale all'adolescenza è Un cuore sotto una tonaca nel quale Rimbaud — ancora allievo ginnasiale del collegio di Charleville — si diverte a descrivere gli atteggiamenti maldestri, confusi e piuttosto comici di un giovane seminarista sempliciotto innamorato di una fanciulla, Timotina. Ma se per tracciare il ritratto di questo contadinotte Rimbaud usa i toni divertiti e grotteschi di una sana allegria, nel descrivere invece gli atteggiamenti untuosi e morbosamente dolciastri del suo panciuto superiore egli rivela già la spietatezza, il radicale anticlericalismo e la vendicativa virulenza che svilupperà ampiamente nella sua successiva produzione poetica.

 

LA POESIA

 

I primi versi in francese di Rimbaud che vengono pubblicati (appaiono sulla Revue pour tous, il 2 gennaio 1870) sono Le strenne degli orfani. Si tratta di un'opera giovanile nutrita di reminiscenze letterarie e di sdolcinate leziosaggini secondo il gusto dell'epoca. Poeti come Victor Hugo, Baudelaire, Coppée gli hanno senza dubbio fornito immagini e parole, ma il futuro "veggente" sviluppa nel tema dell'orfano, dell'escluso, un'esperienza viva che non ha niente di letterario: egli si sente orfano perché soffre della mancanza dell'amore materno.
Tuttavia, secondo uno dei migliori traduttori italiani di Rimbaud, Ivos Margoni, «il tono delle Strenne è insopportabilmente melenso e solidamente falso. Si stenta a credere che Rimbaud abbia scritto la poe¬sia non molti mesi prima di Un cuore sotto una tonaca... A parer mio, non è affatto da escludere che il desiderio di essere pubblicato in una rivistucola benpensante abbia spinto il ragazzo a perpetrare freddamente questo misfatto in alessandrini». L'influenza e l'imitazione di Hugo, Baudelaire, Banville è comunque più che naturale: costituisce il dovuto tirocinio poetico e dimostra, all'occorrenza, che il collegiale di Charleville sa scegliere bene i suoi maestri. Troppo spesso si è fatto di Rimbaud un fenomeno di "generazione spontanea" : è una leggenda che bisogna sfatare. La "presenza" del genio è innegabile, ma in Rimbaud il genio viene esaltato da un continuo "lavoro" sul verso: il fanciullo prodigio conosce tutte le tecniche poetiche come una vecchia volpe, è un lettore avido e accanito sia delle novità sia dei vecchiumi poetici. Le imitazioni gli servono da esercizio: il ricordo del poemetto Rolla di Musset è chiaramente avvertibile in Soleil et chair (Credo in unam), un'esaltazione del mondo arcaico e pagano in opposizione alla tristezza e alla ottusità del mondo moderno, conseguenze dell'avvento del cristianesimo. Un altro tema tipicamente rimbodiano che si può cogliere in questa poesia è il rifiuto del mondo moderno: la bellezza, l'innocenza pagana viene contrapposta alle brutture di una società borghese industriale e positivista: «Notre pale raison nous cache l'ìnfini...» scrive infatti il poeta: «La pallida ragione ci cela l'infinito...».
In Il fabbro — una poesia fortemente influenzata da Hugo — Rimbaud rivela una violenza che è senza dubbio originale: questa poesia può essere considerata il suo primo manifesto rivoluzionario perché vi si avvertono già quegli spunti politici che il poeta svilupperà in seguito nel ciclo di poesie ispirate alla Comune del 1871. Il tema dominante del Fabbro è l'ammirazione per il "popolo", l'unico che può aprire nuove prospettive politiche e umane in contrapposizione a una borghesia intellettualmente squallida, bigotta e avida che Rimbaud aveva profondamente in orrore. Scoppia la guerra del 1870. Rimbaud scappa in Belgio e raggiunge il suo professore a Douai. Durante la fuga, a piedi, compone le sue poesie più felici. Mai la freschezza dell'adolescenza è stata espressa meglio che in Al Cabaret Vert:


Da otto giorni logoravo i miei stivali

Sui sentieri sassosi.

Entrai a Charleroi.

— Al Cabaret-Vert: chiesi qualche crostino

Con burro e prosciutto, ma non troppo caldo.


È una poesia deliziosa e ci presenta l'immagine, piuttosto straordinaria, di un Rimbaud sereno, «felice di esistere e di godersi le apparences du monde», come nota Ivos Margoni.
Anche il sonetto La maliziosa si riallaccia alla fuga in Belgio, e cosi pure la bellissima, struggente La mia bohème, che esprime, con immagini felicissime e ardite, la prepotente tendenza di Rimbaud al vagabondaggio, all'evasione. Sempre di questo periodo è Sognato per l'inverno, l'ultima poesia della serie "luminosa e felice". Prima della svolta che farà dì lui il poeta maledetto, Rimbaud ci regala immagini di innocenza e felicità, di entusiastica accettazione del mondo reale, lontano dall'aspra "mother" e dalla noia della vita di provincia:

D'inverno, andremo in un vagone rosa
Imbottito  d'azzurro. Staremo
Bene. Folli baci s'annidano in ogni
Cantuccio morbido.
Tu chiuderai gli occhi per non vedere
Torcersi fuori l'ombre della sera,
Astiosi mostri, plebaglia nera,
Di lupi e dèmoni.
Sentirai sulla guancia un solletico...
Un lieve bacio, ragno folle, corre
Su e giù pel collo...
"Cerca!" dirai tu, piegando il capo.
— E quanto tempo allora per scovare
Quella bestiola — che corre tanto...

Alla parte "frivola" e felice della produzione poetica di Rimbaud appartiene anche Prima serata, delicato e sensuale divertimento poetico pubblicato per la prima volta il 13 agosto 1870, con il titolo Tre baci. Nello stesso gruppo di composizioni "leggere" possiamo annoverare anche Le repliche di Nina e Romanza. La prima poesia, che probabilmente risente dell'influenza di Banville, è uno straordinario scambio di battute fra due innamorati. Il giovane invita appassionatamente la ragazza a evadere con lui dalla città, descrivendole con poetico slancio le bellezze della natura; ma a così nobili, frementi proposte, lei non sa che rispondere stupidamente: «Et mon bureau? » («Dimentichi il mio capufficio!»). Una conclusione ironica e amara, che probabilmente dimostra l'antipatia di Rimbaud per le borghesucce in generale, e per il lavoro d'ufficio in particolare. Quanto a Romanza, è un altro delizioso quadretto della vita provinciale: profumo di tigli, diciassette anni, fascino della notte estiva, scambio di occhiate, primi turbamenti d'amore.
Ma questo stato felice non dura: a Parigi tuona il cannone. Rimbaud, fremente, sostituisce l'elegia con la rivolta. E scrive, questa volta, poesie piene d'odio e di violenza:


Sifilitici, pazzi, buffoni, re, ventriloqui,

Che peso avranno su Parigi, puttana,

I corpi vostri e l'anima, e i veleni e i cenci?

Vi scrollerà di dosso, putridi di bile!

Questi versi sono indirizzati ai borghesi e ai conservatori che esultano per la dura repressione dei comunardi, e appartengono a L'orgia parigina ovvero Parigi si ripopola che, insieme al Canto di guerra parigino e Le mani di Jeanne-Marie, fa parte di un trittico dedicato alla Comune. Con Le mani di Jeanne-Marie, Rimbaud ha reso omaggio alle donne della Comune, le coraggiose combattenti delle barricate, le pétroleuses. C'è qui tutta l'ammirazione del poeta per la popolana che ha saputo liberarsi dalla schiavitù dell'ordine borghese, cosi diversa dalle leziose creature che suscitano in lui solo ironia, odio e rancore («O mes petites amoureuses — Qui je vous hais!», dice in Le mie innamoratine, «O mie dolci fanciulle innamorate, sapeste come vi odio!»). Un altro aspetto interessante di Le mani di Jeanne Marie è, come nota Margoni, il fatto che questa poesia costituisce «un atto di violenta provocazione letteraria ai danni del culto "signorile" dei parnassiani per le belle mani». Infatti, la poesia ricalca lo schema e il procedimento di una composizione di Théophile Gautier, il precursore dei Parnassiani, intitolato Étude de mains.
All'anticlericalismo del giovanile Un cuore sotto una tonaca si riallacciano poesie come Il castigo di Tartufo e Il male. In quest'ultima opera Rimbaud fa propria — in versione poetica — la famosa formula di Proudhon e Blanqui «Dio è il male», che indica in Dio il simbolo del vecchio ordine sociale, il vertice astratto e indifferente di un'assurda piramide gerarchica. Un bellissimo sonetto, da considerarsi forse "blasfemo" per la scelta del titolo, è Preghiera della sera nel quale è interessante notare come un soggetto tanto profano ("non-poetico") come il mingere venga trattato in modo poetico. Scrive a questo proposito Ivos Margoni: «Rimbaud spinge fino ai limiti estremi quella liberazione della poesia dalla tematica tradizionale del Bello...». Simile ai Comunardi che vogliono abbattere l'ordine borghese, Rimbaud irrompe come un barbaro nei giardini della poesia francese. A diciassette anni, si hanno pochi scrupoli: bisogna prima di tutto fare tabula rasa per annunciare il mondo nuovo. E Rimbaud fissa i nuovi principi, annuncia le sue profezie, nella famosa Lettera del veggente indirizzata all'amico Paul Demeny il 15 maggio 1871: «Ho deciso di offrirle un'ora di letteratura nuova. Comincio subito con un salmo di attualità...». Sul tono dei comunicati militari, Rimbaud asserisce che, prima di lui, tranne poche eccezioni, la poesia non è stata che «prosa rimata, giochetto, smidollamento e gloria di innumerevoli generazioni idiote... Dopo Racine il giochetto fa la muffa. Dura da duemila anni!». E denuncia l'errore profondo: « Se i vecchi imbecilli non avessero trovato dell'Io che il significato falso, non avremmo da spazzar via questi milioni di scheletri che da tempo infinito hanno accatastato i prodotti del loro guercio intelletto, proclamandosene fieramente gli autori!...». Dopo questa "esecuzione capitale", Rimbaud enuncia la sua teoria della veggenza:


Il Poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di pazzia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto — e il sommo Sapiente! —. Egli giunge infatti all'Ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli giunge all'ignoto, e quand'anche, smarrito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrà pur viste! Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti sui quali l'altro si è abbattuto!


All'esposizione del metodo, segue una strana graduatoria della poesia francese: poeti di secondaria importanza come Mérat e il parnassiano Coppée vengono risparmiati, mentre La Fontaine e Musset non hanno diritto ad alcuna indulgenza. Questo giovane rivoluzionario vuoi essere il solo « voleur de feu», il solo «ladro del fuoco» della divina ispirazione, e cela perciò scrupolosamente le sue fonti. Ma, anche se «si tratta di fare l'anima mostruosa», Rimbaud resta un perfetto, profondo conoscitore della lingua francese. Delahaye ci parla del suo «gusto di spulciare nei dizionari», delle sue continue ricerche per arricchire la lingua. Un critico moderno, Robert Faurisson, afferma che il "veggente" Rimbaud «ha il senso preciso della proprietà dei termini; l'origine delle parole gli resta sempre presente: se gli capita di creare parole nuove, di deformarle, di ricostruirle o di giocare col loro significato, non lo fa mai con la sprezzante incoscienza di certi "innovatori" ma bensì con l'istinto sicuro del conoscitore. I suoi neologismi, i suoi anagrammi, i giochi di parole, l'attenzione posta alla forma delle lettere e perfino al modo con cui si pronunciano, alla composizione dei termini, alla loro derivazione, tutto ciò rivela quell'amore per le parole in se stesse che si trova solo nei virtuosi del linguaggio». Faurisson è uno tra i più autorevoli commentatori e critici del sonetto Vocali, la famosa poesia nella quale le lettere dell'alfabeto sono messe in relazione con i colori, e che ha provocato innumerevoli interpretazioni (una perfino in chiave occultistica). Rimbaud scrive Vocali dopo la Lettera del Veggente, quando l'incontro con alcune posizioni dell'occultismo e soprattutto con il Baudelaire delle Correspondences ha già avuto il tempo di operare in profondità. Dopo le Vocali, Rimbaud si affretta ormai verso il compimento della sua avventura poetica, e rompe brutalmente col suo stesso passato. Soltanto un mese dopo la lettera a Demeny, rivolge all'amico questa preghiera: «Brucia tutti i versi che sono stato così sciocco da darti durante il mio soggiorno a Douai, bruciali, lo voglio e credo che rispetterai la mia volontà come quella di un morto». Poi, manda un suo nuovo componimento poetico a Banville, e non da timido provinciale che vuole un posticino nelle file dei Parnassiani, ma da autentico "veggente". «Ho fatto progressi? », chiede al maestro, inviandogli Quel che si dice al poeta a proposito di fiori dedicata appunto «Al signor Théodore de Banville ». È una poesia satura di superba insolenzà: di qualche mese posteriore alla Lettera del Veggente (18 luglio 1871), ne costituisce in un certo senso il complemento poetico. Si tratta di un vero e proprio manifesto letterario nel quale Rimbaud dichiara guerra alla poesia parnassiana, polemizza ironico e sprezzante con il suo manierismo, i suoi leziosi temi floreali. I versi di Rimbaud, infatti, contengono parole schiettamente prosastiche e polemicamente "antipoetiche", parole del linguaggio parlato.


Oh Poeti, se anche aveste

Le Rose, le Rose soffiate,

Rosse su steli di lauro,

Da mille ottave gonfiate!

. . . . . . . . . . . . . . . .
I soliti vegetali Francesi,

Stizzosi, ridicoli, tubercolosi,

Su cui il ventre dei cani bassotti

Nei crepuscoli, naviga in pace;


Rimbaud chiede dunque ai poeti di rinnovare la loro ispirazione e di trovare proprio nel mondo reale moderne vertigini e fascino:


Dai tuoi neri Poemi-Funambolo!

Bianchi, verdi, diòttrici rossi

Sguscino via strani fiori

E farfalloni elettrici!


Non è nota l'accoglienza che Théodore de Banville, sommo rappresentante dei Parnassiani, ha riservato a questo «poema barbaro, inafferrabile, danzante», concepito come un addio ai temi ufficiali della poesia.
Adesso, a Rimbaud resta da comporre un altro addio, un addio che gli farà da passaporto per Parigi e l'avventura con Verlaine: Il battello ebbro. Infatti, nel settembre 1871, quando raggiunge Verlaine nella capitale, porta con sé questa poesia con la precisa intenzione di stupire i letterati parigini. «Nel Battello ebbro c'è tutto il mare», dice Verlaine. Eppure, si sa con certezza che, quando scrive questa poesia, a Charleville, Rimbaud non ha mai visto il mare. Etiemble, il severo dissacratore dei miti costruiti intorno alla figura di Rimbaud, sottolinea tuttavia che il tema della poesia e il simbolo del battello erano piuttosto frequenti presso i poeti parnassiani. È inutile, ad ogni modo, sforzarsi di dimostrare che Rimbaud si era ispirato a opere precedenti sullo stesso tema perché egli lo ha sviluppato con una tecnica magistrale e un'impetuosa, irruente liricità. La folle corsa del battello simboleggia il desiderio di avventura, di libertà, la fine della poesia (quasi tutti i commentatori l'hanno notato) e presagisce il destino di Rimbaud stesso: la partenza per lidi sconosciuti e, infine, il triste ritorno in Europa, per morirvi.
Nei febbraio del 1872, Rimbaud, "rintanato" a Charleville, scrive quelli che vanno abitualmente sotto il titolo di Ultimi versi, le ultime poesie scritte in versi prima di approdare alla "prosa poetica" della Stagione all'inferno e delle Illuminazioni. Comprendono, tra l'altro, la Canzone della torre più alta, che è uno sguardo del poeta sui suoi passati errori e sofferenze, e la decisione di rinchiudersi in un «angusto ritiro», in una «prateria », in prda all'oblio più completo. E O saisons, o chàteaux (O stagioni, o castelli), che riprende lo stesso tema: i castelli sono la «torre più alta» dalla quale Rimbaud può contemplare le passate « stagioni » della sua vita. Gli Ultimi versi segnano «il trionfo dell'allusività pura, espressa nella più gracile musicalità e affidata a quei ritmi "ingenui" mediante i quali Rimbaud cerca abilmente di raggiungere una sorta di verginità lirica arcaica, preletteraria» (Margoni).

 

UNA STAGIONE ALL'INFERNO

 

Nel 1873, Rimbaud arriva a Roche, nella casa di campagna della madre, e si mette febbrilmente al lavoro. Qualche tempo dopo, scrive all'amico Delahaye: «Lavoro con una certa regolarità; sto facendo delle piccole cose in prosa, il titolo potrebbe essere, in generale: Libro pagano, o Libro negro. È stupido e innocente...». Improvvisamente, verso la fine di maggio, Rimbaud abbandona la fattoria per raggiungere Verlaine: Londra, Bruxelles, l'ennesima scenata fra i due poeti, il famoso colpo di rivoltella, la condanna di Verlaine. Rimbaud, leggermente ferito, torna a Roche, il 20 luglio, si rimette al lavoro e non lo interrompe più: il Libro negro è diventato Una stagione all'inferno: una vera rivoluzione rispetto alla "scrittura" dell'epoca, un avvenimento capitale nella storia letteraria europea del secolo scorso. Questa volta, Rimbaud ha abbandonato il verso, regolare o libero che sia, per aprire alla poesia strade nuove: è con il linguaggio della prosa che egli lotta, cercando di "strappargli" il massimo di potenza espressiva. La prosa di Rimbaud in Una stagione all'inferno si potrebbe definire « elvaggia», e queste sue «storie atroci» sono insieme ricordi, confessioni, epopea. Un prologo sprovvisto di titolo ci da la misura della sua ambizione:


Un tempo, se ricurdo bene, la mia vita era un festino in cui si aprivano tutti i cuori, in cui tutti i vini scorrevano. Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia. — E l'ho trovata amara. — E l'ho ingiuriata. Mi sono armato contro la giustizia.
Sono fuggito. Oh streghe, miseria, odio, a voi, hanno affidato il mio tesoro!
Riuscii a far dileguare dal mio spirito tutta l'umana speranza. Su ogni gioia per soffocarla feci il balzo sordo della bestia feroce.


Si è visto nella Stagione all'inferno un addio alla letteratura, e in un certo senso lo è, malgrado la prudenza del prologo. Il dannato della Saison si distacca dall'adolescente che annunciava la sua teoria della Veggenza: «Devo seppellire la mia immaginazione e i miei ricordi!» dice, e rifiuta le «magie, profumi, fuochi, puerili musiche» della poesia.
Niente più musica, rima, incanto... bisogna raggiungere la verità. La Veggenza stessa è ormai per Rimbaud solo un'esperienza passata:


A me. La storia d'una delle mie follie. Da molto tempo mi vantavo di possedere tutti i paesaggi possibili, e  trovavo derisorie le celebrità della pittura e della poesia moderna...
Inventai il colore delle vocali! — A nera, E bianca., I rossa, U verde, O blu. — Disciplinai la forma e il movimento di ogni consonante, e, con ritmi istintivi, mi lusingai d'inventare un verbo poetico accessibile, un giorno o l'altro, a tutti i sensi. Riservavo la traduzione.
Fu all'inizio uno studio. Scrivevo i silenzi, le notti, sognavo l'inesprimibile. Fissavo vertigini...

Il vecchiume poetico era una buona parte nella mia alchimia del verbo.

Mi abituai all'allucinazione semplice: vedevo chiaramente una moschea al posto di un'officina, una scuola di tamburini gui¬data da angeli, calessi per le vie del cielo, in fondo al lago un salotto; mostri, misteri; un titolo di vaudeville suscitava terrori davanti a me.
Più tardi spiegai i miei sofismi magici con l'allucinazione delle parole! Questo accadde. Oggi so salutare la bellezza.


La bellezza ha qui il significato generale di "arte". Giustamente nota Margoni: «Rimbaud rifiuta l'espressione estetica in quanto tale (e poco importa se dopo la Saison egli continuò a scrivere) nella misura in cui gli appare estranea alla rivolta contro la condizione umana e insufficiente a esprimerla o a risolverla. In questo la Bellezza è amara: perché non basta, perché delude». In Cattivo sangue, il capitolo più lungo e veemente della Saison, diviso in otto brevi parti, affiora fin dall'inizio il tema del rifiuto dell'azione («L'azione non è la vita, ma un modo di sciupare dell'energia, uno snervarsi») e dell'odio per il lavoro in quanto mezzo di integrazione, collaborazione a una società che Rimbaud condanna in tutti i suoi aspetti, perfino in quelli "progressisti". Nel capitolo L'impossibile, infatti, Rimbaud vuoi rendersi conto dei motivi del proprio disagio spirituale e conclude che la sua «disgrazia» dipende dal fatto di vivere nei «marais occidentaux», nelle paludi della civiltà occidentale, nell'aborrito sistema basato su cristianesimo scienza borghese avidità commerciale, al quale il poeta contrappone la saggezza dell'Oriente primitivo, la purezza e il fascino di un Eden primordiale. È il tema dell'evasione nell'esotico.
Negli ultimi capitoli Mattino e Addio affiora il motivo della salvezza (con il risveglio mattutino) e della speranza nonostante tutto: la notte è finita e Rimbaud riemerge dalle tenebre del suo inferno.
La bellezza di questa autobiografia poetica scaturisce anche dal fatto che il lavoro dello scrittore non ha mai offuscato la voce del genio precoce. Rimbaud che ha composto l'opera in vista della sua pubblicazione, ha lavorato, corretto, arricchito il testo primitivo, ha fatto dunque un "lavoro" di scrittore; e, tuttavia, Una stagione all'inferno è un libro che, con il suo abbandono senza remissione, la sua ferocia, sfugge a ogni categoria, ad ogni classificazione.
Una stagione all'inferno venne pubblicato a Bruxelles dall'Alliance Typographique — la copertina porta la data 1873 — in 500 esemplari. La pubblicazione, naturalmente, era stata fatta a spese dell'autore che ricevette subito cinque o sei copie dell'opera: prima di spedire tutte le altre, l'editore voleva essere pagato. Ma Rimbaud fece orecchie da mercante e i cinquecento esemplari restarono nei magazzini dell'Alliance.

 

LE ILLUMINAZIONI


Mentre la Stagione all'inferno costituisce un testo omogeneo per l'unità di tono (dovuta all'intenzione dell'autore di farlo pubblicare) i brani del poema in prosa delle Illuminazioni formano un insieme eterogeneo e disparato, difficile da datare. Quest'opera, infatti, pone ai critici una sorta di enigma: alcuni ritengono che risalga al periodo della "veggenza" e sia dunque nata prima dell'addio alla letteratura, prima cioè della Saison; altri lo attribuiscono ai mesi successivi. Il problema della cronologia delle Illuminazioni non è stato ancora risolto. Una stagione all'inferno, com'è noto, rappresenta, almeno nelle intenzioni di Rimbaud, un addio alla lett¬ratura, ma questo non toglie che, in seguito, egli abbia potuto scrivere ancora alcune prose delle Illuminazioni. Nel 1886 Verlaine, nella sua presentazione dell'opera, spiega la ragione del titolo: «La parola Illuminations è inglese, e significa miniature colorate - coloured plates è infatti il sottotitolo che Rimbaud aveva dato al suo manoscritto». Verlaine sostiene che esse furono composte dopo la Saison, tra il 1873 e il 1875, anno dell'avventura di Stoccarda, quando il manoscritto fu « consegnato a qualcuno che ne avrebbe avuto cura». Questo "qualcuno" altri non sarebbe che Verlaine stesso, il quale preferiva però non dare troppa pubblicità all'episodio di cui era stato protagonista, in Germania, con lo "sposo infernale". L'incontro di Rimbaud e Verlaine a Stoccarda si era concluso infatti con un violento alterco, in seguito al quale i due erano venuti alle mani (Rimbaud lasciò l'amico malconcio al limitare di una foresta, dove venne raccolto e curato da alcuni contadini tedeschi). Questo doveva essere l'ultimo incontro fra i due poeti. Secondo Verlaine, dunque, le Illuminazioni sarebbero state composte dopo la Saison. Nel 1949, Henri de Bouillane de Lacoste ha pubblicato una tesi di laurea che ha fatto molto scalpore nel mondo letterario: Rimbaud et le problème des Illuminations (Mercure de France, 1949), una tesi nella quale si sforza di dimostrare — attraverso l'esame grafologico dei manoscritti — che Rimbaud ha composto le Illuminations dopo aver scritto e pubblicato la Saison, riprendendo cosi l'affermazione di Verlaine. Sembra infatti che Rimbaud abbia incominciato a scrivere i suoi poemi in prosa nel 1872 — come sostiene Ernest Delahaye, l'amico d'infanzia — e che abbia continuato a comporli fino al 1874, come stanno a testimoniare certi brani: Vagabondi, Giovinezza, Guerra. Infatti Vagabonde è una trasposizione poetica pie¬na di tensione del suo tormentoso legame con Verlaine, il « miserando fratello». I commentatori, tra i quali Henri de Bouillane de Lacoste, osservando che il tempo di questo poema in prosa è il passato remoto, ne deducono che per Rimbaud la vicenda dovesse ormai apartenere al passato, e che quindi il testo doveva essere posteriore alla Saison.
Di Giovinezza, Margoni osserva che le quattro parti che compongono questo brano sono state scritte verosimilmente nel 1874: potrebbero infatti dimostrarlo il titolo di una di esse — Vent'anni — e, soprattutto, l'allusione, nella quarta parte, alla Tentazione di S. Antonio di Flaubert, pubblicata nell'aprile del 1874. Secondo i critici, Guerra dovrebbe essere stata scritta nell'estate del 1875, quando Rimbaud aveva avuto l'intenzione di arruolarsi nell'esercito carlista (progetto che fortunatamente non potè realizzare in seguito alla fine dell'insurrezione). Nelle migliori edizioni attuali, le Illuminations vengono collocate dopo la Saison en enfer, ma una pubblicazione importante come quella della "Bibliothèque de la Plèiade" preferisce seguire la cronologia tradizionale secondo la quale le Illuminations sarebbero state composte, nella loro totalità, prima della Saison. Paragonate a Una stagione all'inferno, le Illuminazioni appaiono, benché probabilmente incomplete, come un'opera più ricca e compiuta. Rimbaud ha fatto il suo "bilancio", ha superato le sue crisi poetiche più acute. «Non appena l'idea del diluvio si fu placata...»; cosi cominciano le Illuminations. La violenza dell'adolescente ha lasciato il posto a una forza più placida. Filtrata dal ricordo, anche la passione per Verlaine appare meno bruciante. Nel brano dal titolo Movimento, la memoria del loro legame si fa più tenera, evoca istanti quasi felici. Durante la traversata della Manica, sul battello che li porta in Inghilterra, i due giovani (Rimbaud e Verlaine) vengono descritti così:


Agli incidenti atmosferici più sorprendenti

Una coppia di gioventù isolata sull'arca,

— Selvatichezza antica e perdonata?

Canta e s'apposta.


Questo brano, bellissimo malgrado un certo tono oscuro, si apre con la meravigliosa, esatta descrizione dei movimenti del battello e del vorticoso moto della corrente. Ma, anche qui, Rimbaud non dimentica di illustrare ancora una volta, nella descrizione ironica dei viaggiatori "moderni", la sua ideologia anti-borghese e anti-progressista. L'ultima strofa vede infatti i due giovani isolati su un'arca e giudici di quella «fauna» scientifica di viaggiatori "moderni": ingegneri e scienziati ironicamente presentati come i «conquistatori del mondo», apostoli dello sport e del confort, del razzismo, del classicismo. Nelle Illuminazioni, Rimbaud non disdegna le magie del linguaggio e tutte quelle "malie" che nella Saison aveva accusato di « tradimento»; diventa maestro di incantesimi, si lascia tentare dalla musica, fa uscire il verso dalle strettoie obbligate dell'alessandrino e lancia lunghe arcate di prosa ritmata «la cui nobiltà richiama il marmo», come ha scritto un moderno critico:


A suor Louise Vanaen de Voringhem: — la cornetta azzurra rivolta al mare del Nord. — Per i naufraghi.

A suor Léonie Aubois d'Ashby. Bau — l'erba d'estate stridente e puzzolente. — Per la febbre delle madri e dei bambini.

A Lulù, — Demonio — che ha serbato un'inclinazione per gli oratori del  tempo  delle Amiche e della sua educazione incompleta. Per gli uomini! Alla signora ***.

All'adolescente che fui. A questo santo vecchio, eremo o missione.
Allo spirito dei poveri. E a un altissimo clero.

E cosi a ogni culto in tal posto di culto memoriale e fra avvenimenti tali che sia necessario darsi vinto, seguendo le aspirazioni del momento oppure il nostro vizio autorevole. Stasera a Circeto dagli alti ghiacci, grassa come il pesce, e accesa come i dieci mesi della notte rossa, — (il suo cuore ambra e spunk), — per la mia sola preghiera muta come queste  regioni notturne e precedendo  bravure più violente di questo caos polare.
A tutti i costi e con ogni aria, perfino nei viaggi metafisici. — Ma non più allora.


Questa musica, per lo più assente nella Saison en enfer e alla quale Rimbaud allude spesso nelle Illuminazioni, pare proprio che egli l'abbia scoperta a Parigi. Non furono certo i concerti all'aperto nel chiosco di Charleville, ascoltati fra la piccola folla di borghesi provinciali, a rivelargliela: molto probabilmente, fu l'ebbrezza dell'hashish a rivelargliela. Negli anni intorno al 1870, chi ricorreva a questa droga non lo faceva, come invece avviene oggi, per cercare un'evasione alla realtà sociale, e non aspirava a raggiungere uno stato mistico. Ad esempio, Baudelaire, e più tardi i surrealisti, ne fanno uso per affinare le loro sensazioni e trame poesia. Fin dal 1845, un medico studioso di religioni orientali, Moreau de Tours, aveva pubblicato un testo, Du Haschich, che costituisce un interessante documento sull'uso della droga a quei tempi. Vi sono infatti descritti, in base a numerose testimonianze fedelmente riportate, gli effetti dell'hashish: «Ben presto provai il bisogno di udire o di far musica», riferisce un tossicomane. «Mi misi al piano e cominciai a suonare un'aria dal Domino noir... dopo qualche battuta mi interruppi: uno spettacolo diabolico si offriva ai miei occhi... mi parve che il ritratto di mio fratello, che era sopra il pianoforte, cominciasse ad animarsi e drizzasse davanti a me una nera coda biforcuta che terminava con tre lampioncini colorati, uno rosso, uno verde, uno bianco... Dal teatro, la mia immaginazione mi trasportò al ballo dell'Opera; la folla, i suoni, le luci mi esaltarono al massimo...». Diversi brani delle Illuminations sono chiaramente ispirati dall'Hashish. Vi si trovano, infatti, le stesse sensazioni descritte nella testimonianza riportata da Moreau de Tours: riso, luci, danza, bisogno di musica...


Oh mio Bene! Oh mio Bello! Fanfara atroce su cui non vacillo! Cavalietto fiabesco! Urrà per l'opera inaudita e per il corpo meraviglioso, per la prima volta! Ebbe inizio nelle risa dei bambini, finirà per grazia loro... Piccola vigilia d'ebbrezza, santa! non foss'altro, per la ma¬schera di cui ci gratificasti. Metodo, ti affermiamo! Noi non dimentichiamo che ieri hai glorificato ciascuna delle nostre età. Noi abbiamo fede nel veleno. Noi sappiamo donare ogni giorno la nostra vita intera. Questo è il tempo degli Assassini.


Se, nel novembre 1871, Rimbaud fa soltanto un'esperienza isolata di quelli che oggi vengono chiamati "trip" (dichiara infatti a Delahaye venuto a trovarlo: «Ho preso proprio adesso dell'hascisc che mi ha provocato un fortissimo mal di testa e una nausea atroce... E, quanto a visioni, ci sono lune bianche e lune nere che si susseguono a velocità diversa...»), sembra comunque certo che, in seguito, egli usasse la droga abbastanza spesso per poterne godere meglio gli effetti. Bisogna inoltre notare che il fumatore d'hascisc non evade solo per pochi istanti dalla realtà, ma conserva il ricordo delle sensazioni raccolte durante il suo "viaggio". Allucinazioni basate su un colore, un suono, una forma, conservano un potere evocatore anche quando l'effetto della droga è svanito, come se l'hascisc affinasse per sempre la sensibilità di chi ne fa uso:


Questo veleno resterà nelle nostre vene anche quando, spentasi la fanfara, saremo riportati alla nostra primitiva disarmonia.


Rimbaud, tuttavia, abbandona presto la droga; la sua esperienza in questo campo non ha niente in comune con l'avventura spirituale di alcuni poeti del nostro secolo che cercano, attraverso gli stupefacenti, di superare i limiti della percezione (Aldoux Huxley) ed esplorare la propria dimensione interiore (Henri Michaux). È nelle Illuminations che bisogna tentare di scoprire quale sarebbe stata l'evoluzione poetica di Rimbaud, se non si fosse chiuso nel silenzio. Si stenta a immaginare che avrebbe potuto ricorrere ancora al verso, dopo una simile riuscita nel poema in prosa:


Ho steso corde da campanile a campanile; ghirlande da finestra a finestra; catene d'oro da stella a stella, e danzo.


A queste sue parole si è giustamente voluto avvicinare una frase di Nietzsche: «Bisogna portare in sé il caos per poter generare una stella danzante». Ma ecco nascere subito il sospetto che l'evoluzione sarebbe stata frenata da un insuccesso, da un'impotenza, da un fallimento. Il poeta non raccoglie altro che frammenti di "bellezza" dal suo viaggio nell'ignoto, dal suo immergersi nel Caos perché, nell'esplorazione dell'incognito, non ha usato altro che strumenti di questo mondo: il linguaggio, una retorica logica, malgrado tutte le alterazioni, le audaci distorsioni, gli abbandoni, le convulsioni della sua poesia. Rimbaud ha voluto ridurre l'inesprimibile e tradurlo in chiarezza, invece di abbandonarvisi per meglio penetrarlo: non è più il linguaggio che deve subire una metamorfosi ma la natura stessa dell'artista creatore. E a questo punto, il poeta si arrende. Del resto, l'aveva già profetizzato nella Lettera del Veggente:


...Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti sui quali l'altro si è abbattuto!


Durante tutta la vita, Rimbaud ha affrontato pesanti fatalità: la famiglia, la provincia, Dio... E non è cosi semplice, per un giovane dell'Ottocento, nutrito di studi umanistici, liberarsi da quelle catene. Secondo Henry Miller, Rimbaud non è un vero francese: lo scrittore americano lo vede estraneo al suo mondo quanto un Vichingo alla corte di Luigi XIV. Eppure, nella lotta impegnata con l'angelo, non c'è niente di più francese della strada percorsa dal poeta: classico a modo suo, egli non ha mai voluto oltrepassare quei confini che, dopo di lui, altri supereranno spavaldamente. In Rimbaud c'è una sorta di ripugnanza per l'informale. Anche quando vede un salotto in fondo a un lago, la sua descrizione vuoi essere «mostruosamente oggettiva». Non si scherza con le parole: si può esplorare l'ignoto, pagare di persona questa avventura, ma si deve sempre saper rendere l'inesprimibile con il rigore di un documento ufficiale. Proprio attraverso lo scarto tra forma e contenuto si potrebbe tentare di spiegare la patetica resa, il silenzio di Rimbaud. Scrive Rustan: «Così, poco a poco, l'autore delle Illuminations si disgusta dell'opera sua. Il linguaggio, questa prigione troppo stretta, non riesce a trattenere che un'infima parte di ciò che dovrebbe suggerire. Forse ciò che viene trattenuto tradisce ciò che sfugge...». Questo fallimento si riscatta con momenti di folgorante bellezza:


«...Sorelle maggiori con gli sguardi pieni di pellegrinaggi»; «le egloghe zoccolanti borbottanti nel frutteto»; «i vecchi che furono seppelliti in pit di nel terrapieno delle violacciocche»; «il malinconico ranno d'oro del tramonto»; «il crudele procedere degli orpelli»; «un piacevole Delitto che piagnucola nel fango della strada»; «i parati, fino a mezza altezza, merletti cedui, colar di smeraldo ove si tuffano le farfarelle della veglia...»


Si potrebbero raccogliere altre «ghirlande», altre «catene d'oro da stella a stella», e danzare a lungo. Rimbaud ha dato vera grandezza a un genere nuova: il poema in prosa. Baudelaire l'aveva preceduto in questo "filone" letterario, ma solo nelle Illuminazioni si può cogliere quella che Paul Valéry chiama « l'incoerenza armonica » e scoprire una dimensione assolutamente nuova. Certi brani delle Illuminazioni, infatti, suonano singolarmente moderni. I ponti può addirittura far pensare che Rimbaud abbia insegnato qualcosa a Alain Robbe-Grillet e ai seguaci del Nouveau Roman:


Cieli di cristallo grigi. Un bizzarro disegno di ponti, quali dritti, quali convessi, altri in discesa oppure obliqui ad angolo sui primi, figure che si rinnovano negli altri circuiti illuminati del canale, ma tutti così lunghi e leggeri che le rive, cariche di cupole, s'abbassano e s'impiccioliscono. Qualcuno dei ponti è ancora coperto di casupole. Altri sostengono alberi, segnali, fragili parapetti. Accordi minori s'incrociano e filano, corde risalgono dalle rive. Si distingue una giubba rossa, forse altri costumi e alcuni strumenti di musica. Sono arie popolari, brani di concerti feudali, residui d'inni pubblici? L'acqua è grigio-azzurra, vasta come un braccio di mare. — Un raggio bianco, caduto a picco dal cielo, annienta la commedia.


Rimbaud continua a offrirci dei misteri. Non è da escludere che studiosi, amatori o specialisti dell'erudiziene letteraria trovino altre pagine perdute, pagine che darebbero una maggior compattezza alle Illuminations, gettando qualche luce sul silenzio del poeta e rivelando l'esatta cronologia delle sue opere.


Frontespizio del libro apocrifo di Rimbaud
Frontespizio del libro apocrifo di Rimbaud

I FALSI RIMBAUD


Rimbaud non era nemico dei "falsi" letterari. Nel 1869, appena quindicenne, prende in giro il suo professore "spacciando" per una traduzione dei primi ventisei versi del De Rerum Natura una versione, corretta da lui, di un poema di Sully Prudhomme. Tre anni dopo, al tempo delle riunioni dei Vilains-Bonshommes e dell'Album del Circolo Zutique, compone diversi "divertimenti", imitazioni e parodie di poeti contemporanei e dello stesso Verlaine:

 

Scapino, giglio,

gratta un coniglio

sotto il cappotto.

Per uno strano destino, mentre Rimbaud si trova ad Harar, la sua nascente notorietà si fonda su poesie che lui non ha mai scritto. Da qualche anno, a Parigi sono di moda pessimismo, languore, abulia. Ci si fa beffe della scuola parnassiana, si prende in giro anche il Simbolismo in un libretto Les Déliquescences d'Adoré Fìoupette (I deliqui di Adoré Floupette).
Il decadentismo ha ancora successo ma la parodia non fa che rafforzare una corrente letteraria esaltata da numerose riviste. Nel 1886, Le Décadent pubblica, con la firma di Rimbaud, un sonetto: Il splendit sous le bleu d'athlétiques Natures... Due anni dopo, sulla stessa rivista, usciranno Instrumentation, Les Cornues, Le Limaçon, Doctrine, Omèga blasphématoire e il famoso Poison perdu (Veleno perduto), l'unica fra le poesie attribuite a Rimbaud che compare nell'edizione delle Poésies complètes del poeta edita da Vanier nel 1895. Il sonetto sparirà, comunque, dall'edizione di Mésaire del 1898. Oggi, viene comunemente annoverato fra le opere "attribuite":

 

Di notti con biondi e con brune
in stanza non sono restate

neppure una trina d'estate

o una cravatta comune.


Nulla sul balcone ove il tè

si prende nell'ora di luna.

Non vi è rimasta traccia alcuna

non un ricordo. Sul piqué


blu di un tendaggio ricamato

scintilla uno spillo dorato

grande come un insetto assorto.


Punta di veleno bagnata

ti prendo. Sii preparata

nell'ora in cui mi voglio morto.


Alcuni critici, dopo l'esame grafologico eseguito da Bouillane de Lacoste, attribuiscono questo testo a Germain Nouveau. Cosi, mentre Verlaine, ubriaco, risponde a chi lo interroga sul compagno di un tempo: «Se n'è andato nelle terre d'Egitto...», la gloria di Rimbaud si fonda su dei falsi! Bisogna però arrivare al nostro secolo per veder esplodere uno dei più famosi scandali nella storia della letteratura francese: lo scandalo de La Chasse spirituelle (La Caccia spirituale).
Il titolo dell'opera non è inventato: Verlaine lo garantisce e, del resto, si conoscono le circostanze nelle quali il manoscritto sarebbe andato perduto. Quando, nel 1872, Rimbaud trascina con sé il compagno in Inghilterra, la moglie di Verlaine fruga fra le carte del marito e scopre la corrispondenza dei due poeti. La unisce ai documenti preparati per la richiesta di separazione coniugale e brucia tutto il resto, cioè i disegni, le poesie, i poemi in prosa di Rimbaud e il manoscritto, chiuso in una busta, di La Chasse. Nel 1949, la Chasse spirituelle viene pubblicata dalla casa editrice Mercure de France. Nella sua prefazione, Pascal Pia apre la questione delle fonti: «Che fine ha fatto quel manoscritto? Fino ad oggi, è parso che i commentatori di Rimbaud lo ritenessero definitivamente perduto. Ma sbagliavano. Esiste un altro manoscritto di La Chasse spirituelle e forse ne esistono anche due...». Il giornale Combat è il primo ad annunciare il rinvenimento del manoscritto: il 19 maggio 1949, vengono pubblicati sulla pagina letteraria la prefazione di Pascal Pia e alcuni brani della raccolta. Quell'edizione del Combat va a ruba, ed è subito esaurita. Gli amatori si precipitano nelle librerie per acquistare La Chasse spirituelle che la Mercure de France ha subito stampato in tremila esemplari. Ma, all'indomani, un'altra bomba scoppia sul Figaro: Due giovani attori hanno scritto un "capolavoro" di Rimbaud? è il titolo di un articolo nel quale si rivela che Nicolas Bataille e mademoiselle Akakia-Viala, bibliotecaria dell'lnstitut des Hautes Études Cinémato-graphiques, hanno composto il pastiche per vendicarsi di certe critiche piuttosto severe fatte alla rappresentazione di una loro versione teatrale della Saison en enfer. André Breton non ha però avuto bisogno di aspettare questa rivelazione per denunciare il falso in una lettera indirizzata al Combat il 19 maggio e pubblicata una settimana dopo. «Il pastiche è un falso di tipo particolarmente spregevole», afferma il padre del Surrealismo. Questo "caso" fa sensazione a Parigi. I critici, divisi in "Chasseurs" e "anti-Chasseurs" si affrontano sulle colonne dei giornali. Jean Cocteau, di ritorno da una tournée teatrale in Medio-Oriente, osserva compiaciuto: «Tornando a Parigi, credevo di vedervi infuriare le solite discussioni politiche. Mi sbagliavo: tutta la città è febbrilmente impegnata in una disputa a proposito del ritrovamento di un testo di Rimbaud: La Chasse spirituelle. La cosa che mi colpisce è il fatto stupefacente di una città che sta litigando a causa di Arthur Rimbaud! Ecco la città che amo, e questa controversia dimostra che avevo ragione di spiegare agli egiziani e ai turchi che la Francia è indescrivibile, e che tutto, in Francia, è imprevedibile».
Maurice Nadeau, direttore delle pagine letterarie del Combat, tenta di resistere al colpo sferrato da André Breton con la sua denuncia di falso: «Sono ancora convinto dell'autenticità del testo...», dice. Ma già avanza l'ipotesi che possa trattarsi di un testo di Rimbaud "arrangiato" dai suoi imitatori, un falso a metà, insomma. Il partito degli "Chasseurs" perde quota. Breton pubblica Flagrant Délit, un pamphlet che enumera gli argomenti sui quali basa la sua denuncia di falso; argomenti fondati sull'istinto, la sensibilità poetica, l'amore sincero per Rimbaud, più sicuri di tutti gli studi eruditi dei critici.
Ormai, lo scandalo è dimenticato; tuttavia, il problema posto da questo testo non è stato ancora risolto. Esiste ancora quel manoscritto? La "caccia" resta aperta per i critici. Ma la struggente grandezza dell'opera di Rimbaud, il suo fascino, la sua forza di provocazione sono cosi inimitabili che molti — come André Breton — seguono e sanno scoprire, senza bisogno di prove, le tracce dell'uomo «dalle suole di vento».

Arthur Rimbaud in un disegno di  Paul Verlaine (1872)
Arthur Rimbaud in un disegno di Paul Verlaine (1872)


Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.
Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.


Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
R. alla prima comunione (1866)
R. alla prima comunione (1866)
Rimbaud in Africa (1883)
Rimbaud in Africa (1883)