Wallace Fowlie

 

 

Wallace Fowlie (1908–1998), professore emerito di letteratura francese alla Duke University
Wallace Fowlie (1908–1998), professore emerito di letteratura francese alla Duke University

Rimbaud e Nietzsche

 

La violenza insita nella natura di Rimbaud è quella che gli impedì di diven- tare un bohémien. In lui non c'era traccia di pigrizia né possedeva atteggiamenti fiacchi o deboli. La sua violenza era unita alla volontà e alla determinazione. C'è una foto di Rimbaud, scattata il giorno della sua prima comunione. Mostra i lineamenti di un ragazzino niente affatto compreso nell'espe- rienza spirituale che ha vissuto, ma piuttosto irritato dalla confusione di una cerimonia pubblica e dal vestito nuovo. Nella contrazione delle sopracciglia e nell'intensità dello sguardo, il giovane Arthur sta lottando con una parte del suo spirito che non è soddisfatta. C'è stato un piegarsi della sua volontà, ma nessuna sottomissione dello spirito ha fatto seguito al sacramento ricevuto. Rimbaud assomiglia a Nietzsche quando denuncia del Cristianesimo ciò che entrambi interpretavano come la moralità della schiavitù. Il verso di Rimbaud nella poesia Le prime comunioni, "Cristo, eterno ladro di energie", è l'equivalente dell'affermazione di Nietzsche in Ecce Homo: "Preferirei essere un satiro che un santo". L'artista moderno aspira a vedere se stesso come homunculus, il minuscolo uomo fisicamente schiacciato dal mondo. Gli eroi di cui parla Henry Miller sono quasi tutti lo stesso tipo di clown passionale: Rimbaud e Lawrence, Charlie Chaplin e San Francesco. L'ombra della condanna annunciata da Spengler e Lawrence incombe più tragica dell'homunculus che sul superbo. Oswald Spengler, il profeta dei cicli storici, D.H. Lawrence, psicologo dell'amore e della sessualità, e Henry Miller, il visionario che scorge la propria saggezza del microcosmo del cuore, coesistono nel ragazzo-profeta Arthur Rimbaud e in Jim Morrison, il cantante rock che cerca di "aprirsi un varco dall'altra parte". Rimbaud e Nietzsche nacquero quasi nello stesso momento storico e assistettero agli stessi fermenti di rivolta ed estasi. Entrambi parlano di tristi ricordi d'infanzia e giovinezza ed entrambi cedettero in una vita di viaggi e spostamenti. Dopo aver combattuto i valori borghesi incarnati dalla famiglia e dallo stato, Rimbaud attacca Cristo come ladro di energia. E Nietzsche, dopo i suoi attacchi a Wagner e Schopenhauer, flagella Cristo come il profeta dell'umiltà e della pietà. L'affermazione di Nietzsche in Ecce Homo, "Non voglio essere un santo, piuttosto preferisco essere un clown", ha avuto una storia curiosa presso gli artisti che lo seguirono, tra cui Rimbaud. Negli scritti di Apollinaire e di Cocteau e nei dipinti di Ricasso, Rouault e Tchelitchew, la disciplina e la maschera del clown diventano una lezione spirituale. Il personaggio del clown è la nuova sintesi di Apollo, dio dell'armonia, e Dioniso, dio degli eccessi. Il visionario in Rimbaud è il vagabondo nel senso più acutamente moderno del termine. E' l'autostoppista che intende corrompere ed essere corrotto. La chiave si trova nella poesia Vagabondi, dove Rimbaud parla di tornare allo stato primitivo di figlio del Sole. La visione è una forma di profezia. Quando Rimbaud dice, in Parata: "Io solo possiedo la chiave di questa parata sel- vaggia", egli definisce il poeta-profeta come l'uomo che parla dell'Eterno, di Dio presente in tutte le sue creature. Egli vede lo spettacolo invisibile (la parata) che si svolge dietro quello reale. Dietro i gesti dei giovani attori, egli vede le pericolose potenzialità dei loro fini. Questa immagine del circo è la comédie magnétique, che diviene una visione rivelatrice dei falsi semidei della no- nostra storia, gli stessi contro cui ci mette in guardia Auden quando scrive: "Proibite severamente le risposte re- citate a memoria". Rimbaud vede al di là delle risposte recitate a memoria dei moderni Moloch e bohémien e al di là del costume da cherubino e da gigolò. Cronologicamente la visione di Rimbaud si colloca tra quella della frontiera agreste di Walt Whitman, a metà del XX secolo, e quella industriale e meccanizzata di Hart Crane, nel XX secolo. Questi tre poeti si assomigliano l'un l'altro per temperamento, nella loro irrequietezza e nelle loro fughe. La visione di Rimbaud è circondata dal simbolo di fertilità della terra di Whitman e dal simbolo di sterilità del ponte di Crane. Il ricordo di una fede perduta, ricca di immagini e potente come il cattolicesimo, sta alla base del tormento morale di Rimbaud in Una stagione all'inferno e delle sue visioni nelle Illuminazioni.

 

 

Etiemble attacca il Mito di Rimbaud

 

Il 12 gennaio 1952 la discussione della tesi di René Etiemble sul Mito di Rimbaud, nella sala Liard, fu uno degli avvenimenti più importanti della stagione. La grande sala era affollata di studenti, professori, scrittori e perso- naggi eminenti della società parigina. La commissione era composta dai professori Levaillant, Carré, Bruneau (che aveva la funzione del presidente), Jasinski e Dédeyan. A turno, ognuno di loro si complimentò con Etiemble per aver portato a termine un tale compito e commentò alcuni aspetti della tesi principale e di quelle complementari. Levaillant, per primo, lodò la costanza dell'allievo. Per vent'anni Etiemble aveva lavorato alla sua indagine. La tesi era stata accettata alla Sorbona nel 1937. Da allora egli aveva vissuto negli Stati Uniti, insegnando all'Università di Chicago, in America centrale e in Egitto. Aveva accumulato sedicimila schede sul mito Rimbaud: una documentazione prodigiosa anche per una tesi di dottorato alla Sorbona. Aveva letto documenti in diverse lingue e raccolto praticamente tutto ciò che era stato pubblicato su Rimbaud tra il 1869 e il 1950. Aveva studiato ogni tentativo di fare di Rimbaud quello che lui definiva un mito così come ogni diceria che poteva confutare o smentire la verità. Il noto stile po- lemico di Etiemble non si era ammorbidito o modificato per scrivere sul Mito di Rimbaud. La sua tesi poggia non sull'opera di Rimbaud ma su quella dei suoi commentatori, che sono una legione. Etiemble sostiene che tutti i miti letterari che riguardano Rimbaud sono frutto di qualche errore di interpretazione. Per i simbolisti fu soprattutto Il battello ebbro; per i surrealisti l'opera in prosa Un cuore sotto una tonaca. Il mito cattolico della conversione di Rimbaud sul letto di morte fu diffuso dalla sorella Isabelle. Etiemble vede il mito di Rimbaud come una religione compiutamente organizzata, con le sue forme di culto, i suoi testi sacri, le interpretazioni. Egli chiama "gli evangelisti" i testimoni oculari della vita del poeta: Verlaine, Isabelle, suo marito Paterne Berrichon, il compagno di scuola Ernest Delahaye. Sono loro i responsabili delle prime esagerazioni, del modo in cui ogni scuola di pensiero si è appropriata volta per volta di Rimbaud: i simbolisti, i surrealisti, i fascisti, i comunisti, gli esistenzialisti. Alla fine, dopo che Rimbaud è stato considerato un demone, un angelo, un mago, un profeta, non rimane più nulla di umano: egli deve diventare un dio. Questo è il risultato, per Etiemble, della singolare commistione di agiografia e scandalo con cui si è caratterizzata l'opera del poeta di Charleville. Io ebbi l'onore di assistere alla discussione della tesi alla Sorbona e ricordo che tutti i membri della commissione mostrarono un grande rispetto per Etiemble. A un certo punto Levaillant, riferendosi alla passione del candidato per la verità, citò: Amicus Plato, sed magis amica veritas. Dédeyan, professore di letteratura comparata alla Sorbona, ricordò a Etiemble che nella sua tesi denunciava la nascita di altri miti letterari - Lorca, T.E. Lawrence, Genet e Artaud - e gli chiese se Lautréamont non poteva essere aggiunto alla lista. Etiemble rispose che, secondo una recente valutazione, Rimbaud sorpassava Lautréamont e Mallarmé messi insieme, e inoltre che vedeva con timore il mito di Artaud promosso dalla rivista "Revue K", dove il nome di Artaud veniva comsiderato una misteriosa contrazione da Art(hur) Rimb(aud). Ricordo che durante la seconda metà della discussione il professor Carré, lodando il lavoro di Etiemble, lo definì l'indagine più esaustiva condotta condotta su uno scrittore quasi contemporaneo. Jasinski, l'ultimo a prendere la parola, fu il più critico, quello che avversò più apertamente l'idea centrale della tesi e soprattutto lo spirito con cui era stata scritta. Insinuò persino che Etiemble non amasse Rimbaud e che stesse perpetrando con la sua tesi una sorta di vendetta sul poeta che doveva avergli fatto del male nella sua gioventù! Nel descrivere la tesi nel suo complesso, usò la parola canular, un'espressione che nel linguaggio della Scuola normale superiore designa un'elaborata mistificazione. Questa parola dovette colpire l'immaginazione di Etiemble, che da Montpellier, dove aveva ripreso l'insegnamento universitario, inviò una lettera al settimanale "Arts" sulla questione se il mito di Rimbaud fosse un canular. All'e- poca della discussione della tesi, quella parola l'aveva fatto sorridere. Etiemble sapeva che le regole del gioco richiedevano un qualche grado di supplizio del candidato-vittima da parte della commissione. Ma nel sentire che an- che il sociologo Rober Caillois aveva rimarcato l'uso di "mito" o "religione" quando non si trattava che di eccessi verbali, cominciò a domandarsi se non fosse lui stesso il vero creatore del mito e se non si fosse autoingannato durante i vent'anni della sua ricerca. Etiemble rilesse allora le duemila pagine del suo lavoro e concluse che le sue convinzioni non erano mutate. Scegliendo la parola "mito" nella prima parte della sua "Struttura del mito", in cui esaminava le varie caratteristiche di Rimbaud, aveva usato il termine nella sua connotazione peggiore, intendendo un errore, un'illusione o una menzogna collettiva. Ma nella seconda parte della sua tesi, egli usava la parola nel suo pieno significato di leggenda in relazione con il soprannaturale e collegata a qualche forma di rituale. A giustificazione di questo secondo uso del termine nella parte centrale della sua tesi, veniva portato il fatto che venti autori avessero parlato di Rimbaud come del mito di Satana, e che André Breton, nella mostra surrealista del 1947, avesse eretto un altare a Léonie Abois d'Ashby, la misteriosa eroina di Devozione, una delle Illuminazioni. Il sacramento del suicidio era stato introdotto dai due surrealisti Vaché e Rigaut e dall'americano Hart Crane in nome di Rimbaud. Caillois si domanda se l'emissione di un francobollo con l'effigie di Rimbaud (dal quadro di Fantin-Latour) avesse influito sul culto idolatra. Un suicidio non è né un rito né un sacramento, a meno che non avvenga all'interno di qualche cerimonia e risponda a una funzione teologica. Altrimenti è solo un gesto di rifiuto o disperazione, dettato più da ragioni filosofiche che religiose. A sostegno del suo punto di vista, Caillois ricorda il comportamento delle ragazzine, fan scatenate di Frank Sinatra, che avevano creato associazioni, simboli, ed erano protagoniste di manifestazioni collettive deliranti. Lo scrittore Joseph Delteil, che visse per alcuni anni non lontano da Montpellier, partecipò al dibattito con una lettera inviata al settimanale "Arts". Rimbaud non è un dio, secondo lui, ma nemmeno un comune poeta. Il giorno in cui scelse Harar invece dell'Académie Français o dell'isola di Guernsey, instillò in ogni artista la coscienza di un disagio. La sua scelta di un duro lavoro manuale dopo aver scritto pagine come quelle di Una stagione all'inferno mette la logica sottesa alla sua vita. A Parigi il dibattito tra i critici si arricchì di settimana in settimana. Per un critico è normale scrivere di un poeta. Il lavoro di Etiemble è più inconsueto: egli scrive degli uomini che hanno scritto su un poeta. Caillois scrisse allora su Etiemble e in "Arts" il drammaturgo Arthur Adamov scrisse su Caillois e sull'interpretazione personale che Etiemble aveva dato di Rimbaud. Egli temeva che Etiemble non fosse andato oltre la fase della pura documentazione e che il risultato della sua ricerca fosse solo un gigantesco schedario. I fatti che segnano la vita di Rimbaud sono allo stesso tempo chiari e ambigui: la sua precocità di poeta a quindici anni; la rivolta contro la famiglia, la città natale e tutti i valori borghesi; lo studio delle scienze occulte; la sua attitudine a dare scandalo; i suoi vagabondaggi con Verlaine; la sua denuncia del razionalismo; l a sua produzione poetica e le importanti innovazioni che recò all'arte del poema in prosa; la sua fuga dall'Europa e la sua vita da mercante-avventuriero in Africa; il penoso ritorno in Francia e la morte nell'ospedale di Marsiglia. Sarebbe difficile trovare una vita più suscettibile di interpretazioni diverse, più capace di generare un intero corpus di leggende, a meno che non si pensi a Jim Morrison. Anche Morrison ha generato leggende e i fatti della sua vita sono nebulosi. Si potrebbe dedicare un intero libro alle leggende su Jim Morrison, fino al film di Oliver Stone. È la leggenda di Rimbaud che attirava Morrison, così com'è la leggenda di Jim che attirò Stone. Le leggende diventano più importanti della realtà. La precocità di Rimbaud come poeta è stata confermata. I conflitti con la madre sono un dato di fatto, ma non c'è nulla di insolito in questa ribellione. Molti adolescenti si sarebbero comportati nello stesso modo in quelle circostanze. Il suo atteggiamento scontroso e il comportamento sconveniente nei gruppi letterari parigini forse aveva il solo scopo di nascondere la timidezza e la goffaggine tipiche di un giovane di provincia. Gli unici do- cumenti certi che riguardano la relazione tra Rimbaud e Verlaine sono gli scritti dei due poeti. Quello che rimane di Rimbaud, dopo aver corretto gli errori e rimosso i malintesi, è il poeta ventenne creatore di un'opera nuova, che rinunciò a ogni attività letteraria e mantenne la sua parola fino alla fine.

 

 

La maschera del moderno antieroe: Rimbaud e Jim Morrison

 

Il giovane ribelle vive in un mondo a parte. La classe medioborghese, da cui solitamente proviene, ha diversi nomi per definirlo: rascal, hoodlum, ruffian, in inglese; scapestrato, teppista, canaglia, in italiano. Il francese usa il termine più forte voyou, che associa l'idea di un comportamento scorretto a quella di una tendenza criminale. Comunque sia, il giovane ribelle non vive da solo nel suo mondo a parte. Egli rappresenta una lunga dinastia e in epoca moderna ha un fratello che non è mai troppo lontano da lui. Questo fratello è stato chiamato di volta in volta clown, saltimbanco o folle. Un tempo era chiamato giullare, ed ebbe anche il nome più dignitoso di Arlecchino. Di tanto in tanto, il fato gli assegna l'etichetta pretenziosa di poeta. Si possono distinguere due tipi di ribelli: il povero, nato tra il popolo, che passa la sua vita senza conoscere gli agi borghesi, e il ricco, nato da una famiglia benestante, che passa la sua vita senza conoscere le bettole malfamate del vero voyou. Entrambi sono presenze taciturne nella società. Il clown si esibisce in muti rituali, così come la poesia dà voce a chi è stato intenzionalmente messo a tacere. Il ribelle e suo fratello, il clown, ci insegnano che la vera fantasia non esiste e che la felicità allo stato puro non è umana. Un fato inesplicabile sembra presiedere alla nascita degli uomini e ogni vita sembra essere segnata dal privilegio o dalla condanna. Il ribelle rimane libero nei suoi voli. Il voyou è l'uomo che si sottrae a tutto ciò che normalmente trattiene gli altri esseri umani: gli studi, la famiglia, gli obblighi civili, la religione. Il voyou è l'avventuriero, dello spazio, delle strade impraticabili, della sconfinata libertà di campi e città. Alle origini della poesia francese, molto tempo prima dei tempi di Rimbaud e dell'interesse di Morrison per Rimbaud, apparve un primo esemplare di questo clown-voyou, che mi piace considerare il capostipite di una razza di uomini che vivono oltre i confini della propria vita reale e la cui unica forza è la poesia. Mi riferisco a un breve componimento della fine del mi secolo, scritto nella lingua dell'Ile-de-France. L'autore è sconosciuto, ma la pietà di cui è intrisa la storia e la simpatia che vi si esprime per l'eroe dimostrano che egli capiva la vocazione del clown e la vocazione del poeta, che forse sono la stessa cosa. Il titolo del poema, Le Jongleur de Notre Dame, rivela il paradosso di questa duplice vocazione: quella dell'uomo che fa divertire il pubblico all'aria aperta e l'altra avventura dello stesso giullare, la pietà. Abbandonando le strade e le piazze per il mondo chiuso e silenzioso del convento, il giullare scopre che la sua vocazione da saltimbanco è la sua unica santificazione e l'unica realtà della sua vita. Il nuovo amore per Dio, che diventa la sua ragione di vita, è tutt'uno con i suoi numeri da clown. Egli deve servire la Vergine nell'unico modo che conosce. La purezza dei suoi intenti - la sua danza diverrà una sorta di preghiera - trasforma il divertimento popolare in un rito religioso. Una sera, nella cappella di Notre Dame, dove crede di essere solo, danza davanti alla statua della Vergine ed esegue per lei i suoi numeri più difficili e faticosi. I suoi movimenti agili e comici, che una volta divertivano o annoiavano il pubblico della festa, diventano ora un atto di adorazione. Il giullare del XII secolo era un antesignano del poeta del XV secolo François Villon. Entrambi condussero una vita da voyou.

Il giullare esisteva solo per il divertimento di un pubblico transitorio, che egli poteva intrattenere solo grazie agli elementi grotteschi della sua danza. Villon ebbe un pubblico di amici voyou e delinquenti che coglievano solo le parti rozze e scurrili delle sue ballades. Quando il giullare morì, la sua arte scomparve con lui. Ma l'arte di Villon dopo la morte del poeta cominciò a vivere. Villon era più voyou del giullare di Notre Dame. Il suo cuore sembra illimitato se si considerano i diversi ruoli che ricoprì: martire, amante, peccatore, misero delinquente, condannato all'impiccagione, voyou. Quasi tre secoli separano il giullare da Villon; altri tre separano Villon da Rimbaud. In Rimbaud, il principale voyou della poesia moderna, troviamo lo stesso desiderio (o forse la stessa sofferenza) di recitare ruoli diversi e di nascondersi dietro molteplici maschere. La vita di Rimbaud fu una serie ininterrotta di partenze. Nessun poeta più di lui ha elaborato il tema della fuga e dell'evasione. Egli conobbe la vita del vagabondo e del barbone come l'aveva conosciuta Villon e, come Villon, conobbe la fame e la povertà. Chiedeva l'elemosina per strada e bussava alle porte delle case e delle caserme. Era l'uomo destinato a lasciare Charleville e le rive della Mosa, come Dante dovette lasciare Firenze e le rive dell'Arno. E a ogni passo del loro vagabondare, li assale lo stesso senso di disagio. Rimbaud a Parigi, in casa di Verlaine e in mezzo ad alcuni dei poeti più famosi del secolo, assomigliava al giullare medioevale tra i monaci. Ci viene istintivamente da pensare a Gesù tra i dottori nel Tempio e all'albatro di Baudelaire tra i marinai che lo tormentano e lo deridono. Oggi Rimbaud è una figura letteraria mitica. La storia della sua vita contiene tutti gli elementi necessari alla creazione di un mito. Prima di compiere i vent'anni, quando abbandonò l'attività letteraria, aveva raggiunto la maturità stilistica e una grande competenza nel francese e nel latino. Dopo alcuni anni di vagabondaggi per l'Europa, abbandonò il continente per trasferirsi in Abissinia, dove avviò diversi traffici. Esplorò territori non rappresentati sulle carte geografiche per conto della Societé de Géographie. A causa di un cancro che aveva attaccato l'osso, gli venne amputata la gamba. La sua vita, precoce e fugace come una meteora, è spesso paragonata a quella di Mozart, che morì a trentacinque anni. Rimbaud è diventato il poeta dei giovani, come Morrison è diventato il cantante-poeta dei giovani. La sete di libertà, di avventura, e il bisogno di esprimere il proprio sé che alimentò entrambi, affascina i giovani e chiunque aspiri alla libertà e al cambiamento. Una barca intitolata a Rimbaud (Il battello ebbro) partì da Charleville nel settembre 1991, raggiunse Marsiglia e tornò a Parigi per il mese di novembre in occasione di un happening dedicato al poeta. Un centinaio di maratoneti attraversarono i 400 chilometri di campagna tra Charleville e Parigi portando un testimone che conteneva la poesia di Rimbaud La mia Bohème. Il 1991 era una ricorrenza anche per Jim Morrison, il ventesimo anniversario della morte. La generazione di giovani appartenenti alla cultura underground degli anni sessanta l'aveva eletto superstar. Essi seguivano l'attività dei Doors e conoscevano la storia di Jim fin dal 1966, quando cantò Moonlight Drive a Ray Manzarek sulla spiaggia di Venice, e fin dall'uscita del primo album, The Doors, nel 1967. I critici che recensirono quell'album sommersero di epiteti il cantante leader: "uno sciamano del sesso", "un Dioniso nato per il surf", "un Adone hippy". La cultura underground era una forma di radicalismo che rifiutava i valori della borghesia americana e inneggiava a un nuovo edonismo basato su sesso, droga e rock and roll. Nel 1991 una nuova generazione di giovani ascolta ancora le canzoni dei Doors e parla della loro breve storia, durata in tutto quattro o cinque anni. La morte di Jim a Parigi e la sua tomba al Père-Lachaise ne hanno fatto un mito più forte che mai. Quando venne dato l'annuncio della sua morte, Ray Manzarek dubitò che fosse vero e il dubbio persiste ancora oggi nella mente dei giovani. Ora tutto è tranquillo al cimitero: i genitori di Jim hanno sostituito la pietra tombale con un marmo grigio che si intona alla lapide. Il cimitero continua a essere un luogo di raduno per i giovani di tutto il mondo. Oggi i giovani sono in grado di vedere la cultura underground in una prospettiva storica. Sono meno attratti dal lato perverso del sesso e delle droghe mostrato dal film e ricordano le affermazioni critiche fatte da Jim sull'artista: "Vedo il ruolo dell'artista come quello di uno sciamano o di un capro espiatorio. La gente proietta su di lui le proprie fantasie e queste prendono vita". I giovani di oggi si rendono conto che Jim era insie- me colto e primitivo, uno spirito primordiale che seppe fondere la musica rock con un ricco retroterra letterario. Leggono l'ultimo libro di Danny Sugerman, Wonderland Avenue, in cui l'autore racconta come scoprì i Doors e incontrò Jim quando aveva dodici o tredici anni. Divenne il fattorino di Jim e il suo protetto; divenne schiavo delle droghe e descrive dettagliatamente questa dipendenza. Jim gli diede dei libri da leggere e lo incoraggiò a esprimere la sua creatività nella scrittura. Danny aveva sedici anni quando Jim partì per Parigi. Non lo vide mai più. Wonderland Avenue è il resoconto della sua vita fino all'età di ventun anni. Tutti e tre i poeti-voyou che abbiamo citato - Villon, Rimbaud e Morrison - hanno dato voce alla consapevole e istrionica ribellione della gioventù. Ognuno di loro, con la propria terminologia e a seconda della propria epoca, scoprì quanto è misteriosa la psiche umana e non trovò nessuna scienza che potesse spiegarla adeguatamente. C'è forse in questo il pessimismo congenito della gioventù? Io direi piuttosto che c'è il convincimento che al mondo non esiste niente di intatto e assoluta- mente puro. Ogni cosa è contaminata, confusa, coperta di melma e incrinata. Essi capirono che la semplice verità è così poco credibile che la maggior parte della gente vi mischia istintivamente una parte di menzogna. Nonostante la sua brevità, la vita di questi poeti è stata trasfigurata dai colori della leggenda. Ci sono parecchi dettagli sconosciuti nelle loro biografie ed è possibile che ci manchino gli elementi determinanti per capire il loro dramma. La loro poesia è solo la traccia di un dramma personale più vasto. In essa vediamo i riflessi di un fuoco. Il bambino e il poeta trascorrono le loro ore più belle nel regno della fantasia. Immaginazione di un bambino è autonoma, priva di responsabilità, mentre quella dell'artista porta il peso di tutti i significati della vita. Nel cuore di quella creatura che abbiamo chiamato clown, voyou o vagabondo, la sua immaginazione sopravvive grazie a un immenso coraggio. Il coraggio dell'immaginazione è la misura terrena e spirituale di ogni artista. Paragonate alle opere di Villon e Rimbaud, quelle di Morrison appaiono co-me il riflesso della grande poesia, ma un riflesso persistente e sottile. Il suo posto è tra quegli uomini la cui immagine si è fissata nel ricordo dei posteri proprio per le loro incessanti fughe, la loro instabilità e irrequietezza. Immagini gratuite scaturiscono nei versi di Jim come riflessi e risposte alla legge inconscia del caso e della libera associazione. La visione che abbiamo del giullare in mezzo ai monaci, quella di Villon in mezzo ai delinquenti, o di Rimbaud tra i poeti parnassiani a Parigi, non sono molto diverse dalla visione di Jim che con la sua voce e le sue canzoni getta un incantesimo su una folla di spettatori. Tutti questi uomini conobbero lo stesso rischio, quello dell'acrobata che può precipitare sul pubblico che lo sta guardando. (Anatole France, ai primi del secolo, riscrisse Le Joungleur de Notre Dame in forma di racconto e mise in rilievo il pericolo che un pubblico diffidente rappresenta per l'artista.) Il clown-voyou, tra tutti gli uomini, è il più incompleto il più solitario, ma ha rivendicato i suoi diritti nell'arte moderna, dove ha raggiunto uno spessore tragico e un fervore spirituale che altri eroi letterari non conoscono. I pittori moderni, non riuscendo a immaginare angeli reali, li hanno sostituiti con i clown. Gilles, di Wattau, conta innumerevoli discendenti nelle tele di Picasso, Cézanne e Rouault. Compositori come Erik Satie e Stravinskij hanno dedicato le loro opere migliori a figure di clown (Parade e Petruska). E molti poeti (Rimbaud, Max Jacob, Apollinaire, Jim Morrison) si sono reincarnati innumerevoli volte nel clown, che sopravvive grazie a qualche misterioso principio angelico. T.S. Eliot, nel suo poema Gli uomini vuoti, descrive la tragica esistenza del clown, il cui corpo, come quello di Petruska, è imbottito di paglia e la cui anima, come quella degli impiccati di Villon, è in preda al tormento:

 

      [...] Remember us - if at all - not at lost Violent souls, but only

       As the hollow men The stuffed men.

       [...] Ci ricordano - se pur lo fanno - non come anime perdute e violente, ma solo

       Come gli uomini vuoti, gli uomini impagliati.

 

Ogni uomo, anche il voyou o il clown, è insostituibile. La dignità umana risiede anche nella creatura più imperfetta, a condizione che combatta. Il male e il bene assediano entrambi l'uomo. Nei momenti migliori delle sue rappresentazioni, Jim non era unicamente il simbolo del sesso, della droga e della stravaganza. Egli cercava di combattere il compiacimento del suo pubblico, di sottolinearne i pericoli con le sue canzoni e i suoi testi. Alcuni di questi suonano ancora oggi misteriosi e conturbanti. Grazie al Living Theater e ai suoi studi di Antonin Artaud, i concerti di Jim divennero un moderno rito dionisiaco. Dopo lo scandalo di Miami, Jim divenne l'artista perseguitato. Aveva oltrepassato il limite consentito al clown e in questo modo aveva in un certo senso tradito la sua vocazione. Il sonetto di Mallarmé Il clown punito è, nella tradizione dei simboliti francesi, un testo che descrive la ribellione di un clown contro la sua vocazione. Clown e poeta sono legati insieme in questa poesia, dove il pagliaccio è Amleto e Amleto è il pagliaccio. Il poeta, il più riservato e individualista degli eroi, è in grado di calarsi nel personaggio del clown, così come Virgilio si calò una volta nei pastori che cantò nei suoi versi. Il saltimbanco è legato al suo tendone come il poeta è attaccato al foglio di carta ancora vergine. Questo sonetto che parla di un'apostasia inizia con due parole contrapposte: yeux e lacs (occhi e laghi). Gli occhi degli spettatori che lo osservano sono i laghi in cui il clown potrebbe affogare. Per potersi muovere nel lago, egli ritaglia una fessura (une fenétre) nel tendone del circo. E' rinato nel lago, ma non come uomo di spettacolo. Viene paragonato ad Amleto, il supremo eroe teatrale, che desidera fuggire dalla Danimarca. Il clown-poeta è in grado di nuotare nel lago, ma si muove nell'acqua con gesti comici, come una rana. È nudo, ora, spogliato del suo costume da scena. Questo eroe, mentre nuota, viene colpito dai raggi del sole. È una scena di punizione, perché egli ha rinunciato alla veste e al trucco dell'attore. Improvvisamente si rende conto che il tendone da cui è fuggito, il costume e il cerone che ha perduto erano la santificazione della sua vocazione. Il teatro (il circo) è il microcosmo della vita, dove ognuno recita una parte. La scena era il luogo dove Jim Morrison aveva imparato a vivere e a realizzare davanti agli altri la propria vocazione. C'erano momenti, verso la fine della sua vita, in cui si rivoltava contro la scena e contro il suo destino di cantante rock. Dopo aver eseguito per innumerevoli volte Riders on the Storm, in cui risuonano le parole minacciose "c'è un assassino per la strada" e "la nostra vita non avrà mai fine", Jim, vicino alla morte, corresse il titolo della canzone e rispose al comando: Ride out the storm (supera la tempesta). Fece questo stabilendo una relazione tra lo spirito del rock e un senso di libertà, di liberazione nel dipanarsi della sua vita e nella società dei giovani che conosceva. Ascoltando i Doors, i giovani hanno imparato qualcosa sul significato dell'apocalisse, e così, quando uscì il film di Coppola, Apocalypse Now, essi erano preparati a capirlo. Si domandarono allora se fosse possibile amare le vittime del Vietnam nelle grandi schiere dei morti.

Arthur Rimbaud in un disegno di  Paul Verlaine (1872)
Arthur Rimbaud in un disegno di Paul Verlaine (1872)


Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.
Prima edizione di "Una Stagione all'Inferno" (1873). Ed. Poot & C.


Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
Rimbaud diciassettenne ritratto da Henri-Fantin Latour (1872)
R. alla prima comunione (1866)
R. alla prima comunione (1866)
Rimbaud in Africa (1883)
Rimbaud in Africa (1883)